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Architettura & Design
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L’architettura, un tempo, era considerata uno sport olimpico

14 luglio 2021

Archiviato con successo l’Europeo di calcio appena terminato, l’attenzione torna più viva che mai sulle imminenti Olimpiadi di Tokyo. La trentaduesima edizione dei Giochi Olimpici è ormai alle porte e quindi quale occasione migliore per raccontare una delle tante curiosità legate a questa eccezionale cornice sportiva? In particolar modo ci riferiamo al fatto che in antichità a far parte delle molte discipline per le quali ci si contende la medaglia d’oro, c’erano anche l’architettura, la musica, la pittura, la scultura e la letteratura. Basti pensare che, nel corso dei primi 40 anni dei giochi olimpici moderni, sono state assegnate ben 151 medaglie in queste categorie. Per quanto possa apparire insolito, si tratta invece di una circostanza che rispettava in pieno radici e concetti chiave che strutturano i princìpi delle Olimpiadi.

Per comprendere meglio il perché occorre rifarsi ai ragionamenti del barone Pierre de Coubertin, a cui si deve la nascita dei giochi moderni. Quest’ultimo, infatti, considerava l’arte una parte essenziale della competizione, e ricordava come nell’antichità – nel corso delle celebrazioni atletiche e religiose di Olimpia in Grecia, quelle che originarono le moderne Olimpiadi – le arti accompagnassero sempre con armonia i giochi. Il tutto per restituire un evento pronto a spiccare per completezza di spirito e corpo, e dare alle competizioni una gloria maggiore.

D’accordo, ma come combinare discipline come l’architettura alla circostanza sportiva? L’unico vincolo era che la rappresentazione fosse relativa allo sport; mossa esattamente da quest’ottica, durante l’olimpiade del 1910 la richiesta era quella di presentare il plastico di una moderna Olimpia, che sarebbe stato poi valutato dalla Scuola di architettura di Parigi. La medaglia d’oro andò in quel caso agli architetti svizzeri Eugène-Édouard Monod e Alphonse Laverrière. Per lo stesso criterio si aggiudicarono il più alto riconoscimento musicisti, pittori e scultori, dando vita a opere che avevano una profonda connessione con le discipline sportive e con il loro esercizio.

Ecco quindi che De Coubertin puntava esplicitamente a ridestare lo spirito delle Olimpiadi antiche, viste come “una celebrazione di corpo e spirito”, come lui stesso sottolineò in una lettera dei primi del ‘900. Obiettivo finale era quello di dare vita a un evento globale, che avrebbe potuto realizzarsi solo tramite “l’incorporazione delle Arti nei Giochi olimpici e nella vita quotidiana”, nulla più di quello che chiese nel corso della riunione con il Comitato Olimpico internazionale (CIO) del 1906, ospitato a Parigi.

Letta così la questione sembra tutt’altro che irragionevole aver considerato architettura e le altre citate discipline oggetto delle competizioni olimpiche nel corso dei primi 40 anni dei giochi moderni. La domanda, anzi, può essere soggetta a un completo rovesciamento: perché non torniamo a farlo?

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