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Architettura & Design
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Gio Ponti è il maestro che ci ha insegnato ad amare l’architettura

03 settembre 2020
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Leggerezza, verticalità, visione. Sono trascorsi 40 anni dalla morte di Gio Ponti ma la sua arte resta declinata al presente. Il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma gli dedica una retrospettiva, visitabile fino al 27 settembre, che è un bagno nella sua architettura, un’immersione totale in cui si resta senza fiato perché il suo stile parla una lingua che ha ancora molto da dire.

Già il titolo della mostra “Gio Ponti. Amare l’architettura”, che si rifà al suo libro più noto (Amate l’architettura pubblicato nel 1957), delinea il rapporto che il famoso architetto aveva con la sua professione: un sentimento profondo, viscerale, che traspare in ogni sua opera e che gli ha permesso di influenzare la storia del gusto e dello stile italiano. “Amate l’architettura, la antica, la moderna,” scriveva Ponti nel suo libro più famoso, “Amate l’architettura per quel che di fantastico, avventuroso e solenne ha creato”.

Se gli si chiedeva: “Qual è il materiale più durevole?” la sua risposta era “l’arte”. Gio Ponti non fu infatti un semplice architetto ma anche designer, art director, scrittore, poeta, critico. Una figura complessa fatta di tante sfaccettature con un unico comune denominatore, l’arte appunto, che si ritrova in tutta la sua produzione: dalle tazzine di caffè ai transatlantici, dagli interni domestici ai grattacieli, dalle chiese ai sanitari, dai mobili di uso comune a una vera e propria “città pontiana”. Un’attività poliedrica mai banale dove riusciva sempre a trovare una sintesi unica e originale tra tradizione e modernità, tra cultura d’élite e vivere quotidiano.

La retrospettiva romana restituisce un ritratto completo di questo nostro architetto che amava definirsi “un italiano, un lombardo, un milanese. Un uomo ilare, senza ozi, che scrive disegna, costruisce, viaggia: che ama vivere”. È indubbio che sia l’amore, nelle sue sfumature più diverse, a caratterizzare la sua produzione che in questa mostra è suddivisa in otto sezioni che evocano concetti-chiave espressi dallo stesso Ponti. Un allestimento immersivo che permette di calarsi nel suo mondo attraversando i cambiamenti della cultura e della società del nostro Paese di cui fu specchio ma allo stesso tempo precursore.

Si parte dalla sezione “Verso la casa esatta” che fu centrale nella ricerca di Ponti per la definizione di uno spazio consono alla vita moderna. È qui che troviamo le prime “Domus” tipiche milanesi, i progetti per “La casa adatta” esposti a Eurodomus nel 1970 e, soprattutto, il suo appartamento in via Dezza a Milano considerato la sintesi di molte riflessioni che portò avanti nel tempo.

Si prosegue poi con “Abitare la natura” che indaga la relazione osmotica tra architettura e natura presente nella sua arte e che si esplicita nell’utilizzo di portici, terrazze, pergole e verande, logge e balconi come elementi architettonici che proiettano l’architettura fuori, e al tempo stesso portano la natura dentro. Di questo rapporto sono affascinante espressione i progetti quasi intimi come la casa detta lo Scarabeo sotto la foglia e la villa per Daniel Koo in California.

Segue poi un focus sui “Classicismi” ovvero una stagione che offre a Ponti l’occasione per cimentarsi con grandi progetti, per lo più̀ su committenza pubblica, e che integravano la dimensione urbana con quella del dettaglio, come la Scuola di Matematica di Roma, 1934, o i due Palazzi Montecatini a Milano, del 1936 e del 1951.

Si approda poi agli edifici più noti – documentati nella sezione “Architettura della superficie” – dove troviamo progetti come l’Istituto italiano di Cultura di Stoccolma o l’Istituto di fisica nucleare a San Paolo del Brasile che rappresentano l’espressione compiuta di un pensiero progettuale che ragiona per piani piuttosto che per volumi. È in questa sezione che si possono ammirare le leggerissime facciate degli edifici che diventano superfici bucherellate come fogli di carta e che attestano la caratura internazionale ormai raggiunta dall’opera di Ponti.

A seguire la sezione che è anche l’aforisma più noto di Ponti ovvero “L’architettura è un cristallo” e che celebra l’idea che la “forma finita” sia una garanzia di un’architettura corretta perché dà vita a una pianta sfaccettata come un cristallo. Un metodo coerente e univoco che si trova in progetti come il Denver Art Museum o la cappella di San Carlo a Milano, e ancora nella progettazione in scala ridotta di maniglie per porte Olivari, di sanitari per Ideal Standard, di piastrelle in ceramica o carrozzeria per un’auto chiamata, non a caso, Diamante.

“Facciate leggere” è poi la sezione in cui, più di ogni altra, si tocca con mano la leggerezza che poi è divenuta un tratto distintivo della sua attività, la risposta ai modi di costruire del Ventesimo secolo e che aveva un valore etico prima ancora che formale. E lo si può vedere, per esempio, nella Concattedrale di Taranto (1970), dove il cemento diventa aria e luce.

Le ultime due sezioni “Apparizioni di grattacieli” e “Lo spettacolo delle città” sono, rispettivamente, aspirazione alla verticalità e il suo sviluppo urbanistico. La verticalità consente un’occupazione limitata di suolo e permette a Ponti di preconizzare l’apparizione di grattacieli nello skyline delle città moderne. Uno tra tutti il milanese Pirelli (1960), sintesi di molti temi progettuali presenti nella mostra.

L’esposizione al MAXXI, curata da Maristella Casciato e Fulvio Irace con Margherita Guccione, Salvatore Licitra, Francesca Zanella, restituisce non solo una produzione variegata e che ha cambiato il volto delle nostre città, ma anche un artista mai pago che amava definire la sua vita “perseguitata dalla fortuna”.
Articolo di Patrizia Vitrugno

Foto dalla mostra Gio Ponti. Amare l'architettura | Photo © Musacchio, Ianniello & Pasqualini, courtesy Fondazione MAXXI.

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