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Il bosco in una stanza sotterranea: gli affreschi di Villa di Livia a Roma

23 settembre 2021

Roma è nota per la sua strabiliante capacità di nascondere opere magnifiche agli occhi di turisti e abitanti. Un esempio sono gli  antichissimi e straordinari affreschi della Villa di Livia a Palazzo Massimo, tra i capolavori meno noti a chi è in visita alla Città Eterna. Opere in grado di immergere il pubblico in una radura rigogliosa di piante, fiori e uccelli, nate inizialmente per decorare una stanza senza finestre del ninfeo sotterraneo della villa di Livia, moglie dell’imperatore Augusto.

La storia della Villa di Livia

Nel 1962 usciva il libro Roma, non basta una vita, una guida scritta da Silvio Negro – giornalista vicentino di nascita del Corriere della Sera – diventata negli anni un cult che aveva l’obiettivo di far riscoprire ai romani stessi la propria città. Il titolo, suggerito dall’amico e scrittore Dino Buzzati, è diventato negli anni un modo per descrivere la ricchezza storica, artistica e culturale della Città Eterna. Un luogo in grado di nascondere al suo interno veri e propri tesori che, proprio a causa della vastità del suo patrimonio, sono meno noti ai visitatori stranieri e alla popolazione locale.

Un caso emblematico è rappresentato dagli “Affreschi del ninfeo sotterraneo della villa di Livia”, originariamente ubicati nel quartiere di Prima Porta presso l’antica abitazione di Livia Drusilla, moglie dell’imperatore Ottaviano Augusto. Più precisamente questa dimora, che apparteneva a una delle donne più importanti della storia romana, si trovava al nono miglio dell’antica via Flaminia. È possibile conoscere l’esatta posizione grazie agli scritti di autori dell’epoca come SvetonioCassio Dione e Plinio.

In particolare quest’ultimo ha raccontato un episodio la cui veridicità è ancora oggetto di dibattito tra gli storici. Secondo la narrazione tramandata da Plinio, all’epoca del fidanzamento con Ottaviano, Livia si trovava nel luogo in cui sorgeva la villa e un’aquila le fece cadere in grembo una “gallina di notevole bianchezza che teneva un ramo di alloro nel suo becco”. Per tale ragione l’edificio fu soprannominato “ad gallina albas”. Questo avvenimento fu considerato di buon auspicio e Livia decise di allevare la gallina e piantare il ramo di alloro. Quest’ultimo, come riportato da Cassio Dione, crebbe così rigogliosamente “da rifornire con i suoi rami per lungo tempo i trionfi dei successori”.

Questa storia affascinante potrebbe però essere uno dei tanti miti della narrazione che Ottaviano, a cui venne in seguito conferito il titolo di Augusto, fece scrivere negli anni per fini propagandistici. Una sorta di storytelling politico contemporaneo.

Il giardino raffigurato negli affreschi

Gli affreschi che adornavano la stanza sotterranea della Villa di Livia, che probabilmente rappresentava il luogo più fresco della casa in cui ci si rifugiava per sottrarsi alla calura estiva, rappresentano il più antico esempio di “pitture di giardino romane” mai rinvenute, databili tra il 30 e il 20 a.C.

Il soggetto delle raffigurazioni, scelto proprio per la posizione sotterranea della stanza, ritrae un giardino rigoglioso che si divide in due sezioni: quella orizzontale, che comprende una balaustra di marmo e una recinzione di canne; e quella verticale che presenta una fitta vegetazione composta da differenti specie di alberi e arbusti.

In quest’ultima sezione è possibile osservare una particolarità. Le piante in primo piano sono dipinte in maniera molto definita, mentre più la prospettiva si allontana, più esse appaiono sfocate. La stessa tecnica viene utilizzata per il cielo, gli uccelli e gli altri elementi di contorno. L’intento era infatti quello di simulare uno spazio aperto, garantendo una certa profondità spaziale.

Come è stato notato, le piante rappresentate negli affreschi avrebbero tempi di fioritura diversi tra loro. La ragione per cui sono state dipinte in uno stato di “fioritura perenne” sembrerebbe essere legata ai motivi propagandistici dell’età imperiale di Ottaviano, volendo simboleggiare in questo modo la prosperità della Pax Augustea.

Il ritrovamento e la restaurazione degli affreschi della Villa

Il luogo in cui era presente la Villa di Livia fu abbandonato intorno al V secolo d.C. e la dimora venne in seguito spogliata di gran parte dei materiali che la rivestivano. La posizione sotterranea, e quindi nascosta della sala, ha permesso per più di un millennio la sua conservazione fino al ritrovamento sensazionale avvenuto nel 1863 durante degli scavi eseguiti sotto la sovrintendenza dell’allora Stato Pontificio. Nel medesimo sito fu ritrovata anche la statua di Augusto Loricato, anche detta di Prima Porta, tra le più celebri raffiguranti il primo imperatore romano, che è attualmente esposta ai Musei Vaticani.

Inizialmente i lavori di restaurazione delle quattro pareti della stanza furono eseguiti nel suo luogo originario. Quasi un secolo dopo, nel 1951, a causa delle infiltrazioni di umidità che rischiavano di compromettere la conservazione e i vani tentativi per proteggere le decorazioni, si decise di staccarle così da poterle mettere al sicuro in un luogo più adatto. Un’operazione che presentò più di una criticità e per cui si dovette ricorrere alle più innovative tecniche di trasporto. Prima di giungere alla loro attuale posizione, le pitture parietali furono trasportate alle Terme di Diocleziano per essere restaurate ed esposte pubblicamente per la prima volta.

Le collezioni conservate a Palazzo Massimo

Gli affreschi sulle pareti sono oggi conservati presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, a pochi passi da Stazione Termini, dove sono state disposte in un ambiente che rispetta le dimensioni originarie della stanza.

Palazzo Massimo rappresenta solamente la sezione di “arte antica e collezione numismatica e di oreficeria” dell’intero Museo Nazionale Romano, concepito nel 1889 per raccogliere i beni archeologici affiorati durante il nuovo processo di urbanizzazione dopo la proclamazione di Roma come capitale d’Italia nel 1871. A causa dell’immensa mole di reperti, gli ambienti delle Terme di Diocleziano, inizialmente designate come unica sede del Museo, divennero ben presto insufficienti. Gli altri edifici coinvolti per questo complesso museale sono Palazzo Altemps e Crypta Balbi.

Le opere ospitate in questo palazzo ottocentesco, la cui costruzione fu voluta dal gesuita  Massimiliano Massimo come una delle sedi in cui ospitare i membri della Compagnia del Gesù, costituiscono attualmente una delle più importanti collezioni al mondo di arte classica romana. Qui sono ospitate opere realizzate in un lasso di tempo che va dall’epoca tardo-repubblicana del II secolo avanti Cristo alla tardo antica del V secolo dopo Cristo. Lo spazio è articolato in quattro piani: al piano terra e al primo piano si trovano statue e ritratti dell’arte romana, mentre al piano sotterraneo è presente la “sezione numismatica e oreficeria“.

Al secondo piano, invece, è possibile ammirare gli “affreschi del ninfeo sotterraneo della villa di Livia”, insieme alla ricostruzione degli ambienti della Villa Farnesina, e a una vasta collezione di mosaici pavimentali e parietali dell’epoca romana.

Cover via pagina Facebook 

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