“Mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando sono andato a scuola, mi è stato chiesto cosa volessi essere da grande. Io ho scritto: ‘Felice’. Mi hanno detto che non avevo compreso il compito, io ho risposto che non avevano capito la vita”. L’episodio raccontato da John Lennon, voce dei The Beatles, risale a quando era solo un bambino. Eppure aveva già la saggezza di un anziano. Infatti, fin dall’antichità, la felicità (eudaimonìa in greco) è stata indicata come il fine ultimo della vita umana. Come dimostra una parte consistente della produzione filosofica di Aristotele.
Al tema della felicità, il pensatore greco ha dedicato tutto il primo libro e gli ultimi cinque capitoli del decimo libro dell’Etica Nicomachea. Per raggiungere l'eudaimonìa, secondo Aristotele, bisogna però tenere in considerazione la natura dell’uomo, che per il filosofo è l’animale più perfetto tra tutti perché dotato di uno spirito complesso.
Aristotele crede infatti che l’anima degli uomini sia composta da una parte irrazionale e da una razionale. L’idea è ripresa dalla filosofia platonica che aveva spiegato la struttura dello spirito attraverso il famoso mito della biga alata, guidata da un auriga e trainata dai cavalli. In Platone le due parti erano in forte contrasto tra loro: il cocchiere (intelletto) aveva il compito di “dominare” istinti (destriero cattivo) e passioni (cavallo obbediente), trovando un equilibrio interiore. Per Aristotele, però, “la natura non fa nulla senza ragione” e quindi impulsi e desideri non sono un male di per sé, in quanto parte della natura umana stessa. Di conseguenza, la ricerca della felicità passa per la soddisfazione degli stessi, non per la loro repressione.
Il trucco per Aristotele è saper trovare il “giusto mezzo” tra gli opposti, evitando sia gli eccessi sia i difetti. Il coraggio, ad esempio, è quella virtù che sta tra la viltà e la temerarietà: se la prima impedisce all’uomo di agire, la seconda potrebbe condurlo verso una condotta dolorosa o addirittura fatale. Il vile dovrà moderare il suo timore, l’audace sarà costretto a frenare la sua smania di gloria e agire secondo ragione. Entrambi i viaggi, pur partendo da punti differenti, rendono i soggetti saggi e virtuosi.
Il principio dell’equilibrio è valido anche in merito alle passioni: non sarà infatti felice colui che eviterà i piaceri terreni, ma solo chi saprà controllarli. D’altronde l’azione umana è generata proprio dal desiderio: senza di esso, l’uomo sarebbe immobile, precludendosi la possibilità di essere felice. “Non è forse vero che se noi, simili ad arcieri, abbiamo un bersaglio, siamo maggiormente in grado di raggiungere ciò che dobbiamo?”, spiega il filosofo nell’Etica Nicomachea.
Quindi, cos’è la felicità per Aristotele? Una specie di dono divino, che l’essere umano conquista una volta che ha sfruttato tutte le sue potenzialità ed è riuscito a realizzarsi. Il filosofo pensava alla beatitudine come a qualcosa di stabile e immutabile, raggiungibile anche grazie ai beni esteriori. Staccandosi definitivamente dal pensiero di Platone, Aristotele infatti nell’Etica a Nicomaco scrive: “È impossibile, o non è facile, compiere azioni belle se si è sprovvisti di risorse. Infatti si compiono molte azioni per mezzo di amici, denaro o potere politico, usandoli come strumenti; e se siamo privati di certe cose, come buona nascita, buona discendenza, bellezza, la nostra beatitudine ne risulta intaccata”.
Pur essendo molto importanti, però, i beni esteriori hanno il solo compito di aiutare l’uomo a raggiungere la felicità e non vanno in alcun modo fatti coincidere con la beatitudine stessa che rappresenta il fine supremo dell’esistenza umana: “Ora, per quanto riguarda il nome del bene maggiormente ricercato dagli uomini vi è un accordo quasi completo nella maggioranza: sia la massa sia le persone raffinate dicono che si chiama felicità”, sottolinea sempre nell’Etica a Nicomaco.
Chi compra una macchina, ad esempio, lo fa per appagare la sua necessità di spostarsi e il suo bisogno di indipendenza. Ogni persona munita di intelletto ha dunque le chiavi per essere beata, sta a lei decidere se e come usarle: la ragione la aiuterà a sviluppare le sue virtù e ad essere felice. C'è un solo, possibile, impedimento: per Aristotele questa condizione può realizzarsi solo quando si è liberi di scegliere ciò che può appagare i propri bisogni e la fame di conoscenza. Secondo il filosofo, il principio della libertà "si trova nell’agente che conosce tutte le circostanze particolari dell’azione", da cui dipendono l'esercizio delle virtù e il conseguente raggiungimento della felicità.
Non si deve quindi avere paura di agire, di prendere decisioni e difendere ardentemente la propria libertà intellettuale. Seguendo i consigli di Aristotele, la ricerca della felicità sarà un'intrigante percorso di autocoscienza. La beatitudine provata una volta arrivati a destinazione legittimerà tutta la fatica fatta per raggiungerla.
Credits
Cover: Kopf des Aristoteles 1, Faustyna E. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via Wikimedia
Immagine interna 1: dettaglio da Scuola di Atene, Raffaello Sanzio da Urbino. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via Wikimedia
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