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Quando Dino Buzzati raccontò il Giro d’Italia di Fausto Coppi e Gino Bartali

16 maggio 2022

Sulle pagine del Corriere della Sera, in quell’estate del 1949 durante la quale si corse la XXXII edizione del Giro d’Italia, sembrò quasi che Dino Buzzati stesse descrivendo un’opera d’arte, un dipinto ad olio colmo di particolari. Eppure, lo scrittore de Il deserto dei tartari, che era stato inviato dal noto quotidiano per dare una prospettiva letteraria alla competizione, non era di certo un appassionato di ciclismo. Anzi, per dirla con le sue parole “per un complesso di circostanze probabilmente legate ai capricci del destino [...] colui che scrive oggi, cronista al seguito del Giro d’Italia, non ha mai visto una corsa ciclistica su strada”.

Letteratura sportiva ai suoi massimi livelli

Ciascuno ha pronte le sue armi segrete che gli altri non dovranno sapere, il talismano con dentro la fotografia dei bambini, la medaglia della Madonna prediletta, il vecchio berretto unto e bisunto ma imbattibile come 'menabuono', le scarpette speciali col tacco fatto in un certo modo, le stesse che gli giovarono, tre anni fa, per una vittoria strepitosa

Forse Buzzati non capiva nulla di ciclismo, ma era uno scrittore straordinario, e gli bastava poco per cogliere gli aspetti più emozionanti e appassionanti della competizione. La lotta dell’essere umano contro la fatica, contro l’imprevisto. Buzzati puntò la sua lente d’ingrandimento in questa direzione, trasformando la cronaca in letteratura Il suo resoconto sarà poi raccolto nel libro Dino Buzzati al Giro d’Italia come esempio di una narrativa sportiva che non avrà epigoni.

Quello del 1949 era il Giro della ripartenza. Una corsa che simboleggiava la vita che rinasce, che torna a essere speranza per il futuro. E poi fu l’anno dello scontro tra Coppi e Bartali, con il testa a testa tra i due atleti, la prospettiva eccitante che qualche signor nessuno potesse emergere da quel gruppo omogeneo di ciclisti perennemente terzi e quarti e quinti. “La grande impresa si ridurrà a un duello tra i due massimi e proverbiali assi? O dalla schiera dei cadetti uscirà all’improvviso il nuovo nome destinato ad attraversare il mondo?”.

Coppi e Bartali come Achille ed Ettore

Alla fine, lo scontro del Giro del 1949 si trasformò in un duello a singolar tenzone dagli echi mitologicii. La gara  vide emergere come campione Fausto Coppi, in grado di staccare Gino Bartali (e il resto del gruppo) sulle serpentine dell’Izoard, nella tappa che da Cuneo arrivava a Pinerolo. Buzzati, oltre a essere un fine osservatore dell’essere umano, era anche un sagace narratore pronto a investire di grandiosità questo “scambio di colpi”, questo rovesciamento dei ruoli, col maestro Bartali costretto a lasciare il posto al più giovane Coppi. Intuendo il potenziale narrativo della “battaglia” a lungo rimandata, Buzzati mise i due ciclisti nei panni dei duellanti per eccellenza: Achille ed Ettore.

A cosa servirebbero i cosiddetti studi classici se i loro frammenti a noi rimasti non entrassero a far parte della nostra piccola vita? Fausto Coppi certo non ha la gelida crudeltà di Achille: anzi, tra i due campioni, è certo il più cordiale e amabile. Ma in Bartali anche se scostante e orso, anche se inconsapevole, c’è il dramma come in Ettore, dell’uomo vinto dagli dei

Nelle sue pagine più ispirate, quelle in cui Coppi è lanciatissimo verso l’apice della sua carriera (nel 1949 sarà il primo ciclista di sempre a vincere Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno), il racconto richiama davvero il favore degli dei del quale godeva Achille. Sulle vette che superano i duemila metri, in solitaria in testa al resto del gruppo, Coppi pedala come se le ruote della sua bicicletta non incontrassero il fango di quegli insidiosi tornanti alpini. Dietro di lui il gruppo - Bartali compreso - a soffrire, con i ciclisti incagliati ancora a valle. Proprio come nei racconti omerici, è proprio nel dolore di questi ultimi, uomini comuni che hanno a che fare con dei e semidei, che Buzzati trova il lirismo necessario per elevare la sua cronaca di fronte alla poesia del gesto atletico.

Nelle straordinarie capacità dei due uomini, capacità rozze, se volete, elementari, essenzialmente fisiche [...] avvertono forse qualcosa di misterioso, di sacro, una specie di grazia, il segno di una potestà sovrannaturale. E forse questo spiega l’immensa attrazione dello sport. Questo giustifica ciò che altrimenti sembrerebbe assurdo: che cioè persone ragionevoli e colte possano perdere la testa e agitarsi e urlare per un giocatore di calcio o un ciclista”.

Nemica e amica di ogni ciclista: la Strada

Vale la pena soffermarsi su una delle immagini più centrali e poetiche che Buzzati tira fuori nei suoi articoli. Quelle righe, che son quasi dei versi, dedicate alla Strada, con la S maiuscola, croce e delizia di ogni ciclista. La grande nemica, la grande antagonista, eppure anche il luogo grazie al quale possiamo godere di questo resoconto. Un po’ come la Troia dell’Iliade, è qui che avvengono gli scontri, che si consumano le rivalità, che gli eroi si confrontano con il loro destino. Buzzati la trasforma in un vero e proprio personaggio dell’opera, conferendole una dimensione ultraterrena, quasi divina.

Attenti, signori, della strada non fidatevi. [...] a un esercito irto e tenacissimo dovete dare battaglia fin dal primo giorno; e poi dopodomani e il giorno successivo e sempre ve lo troverete sulla via. Vi lancerà addosso i suoi reggimenti che hanno sinistri nomi: chilometri, si chiamano, nuvole e tuoni (ce n’è già in cielo un minaccioso ammassamento), povere, salite, scirocco, buche, imbastiture

Tra le sue righe, il Giro d’Italia diventa metafora del viaggio, il cammino verso una meta lontana, irraggiungibile, che nei suoi oltre quattromila chilometri, tra campi, colline, selve e cime alpine racchiude un mondo. Il grande incomprensibile mistero dell’avventura. Ed è per questo che perfino Buzzati, che della bicicletta non aveva mai visto nulla, quando Coppi è ormai prossimo all’Olimpo si commuove e spera che questo incantesimo, il Giro, possa ripetersi ogni anno e ripresentare con puntualità uno spazio “dove possano trovare respiro i cuori semplici”.

E ancora oggi, a distanza di quasi ottant’anni, i suoi versi, come pennellate dell’artista sulla tela o come l’obiettivo di un grande fotografo che riesce a catturare la forza del momento, ci trasportano tra la folla, col sole negli occhi e il cuore in gola. Lì, per le strade d'Italia, ad attendere che quell’uomo che ha staccato il resto del gruppo, una pedalata dopo l'altra, alzi la testa e tagli il traguardo.

“Si vede una lunga strada sotto il sole, da una parte e dall’altra due siepi d’umanità in delirio e in fondo, che si scorge appena, un cosino scuro che avanza. Dio, come vola!  È un uomo in bicicletta a testa bassa, solo, lanciato alla vittoria. Chi è? Chi è? Un rombo di laggiù si approssima, e l’urlo della folla sembra un tuono. Chi è? Ma non si può rispondere. Troppo lontano è ancora”.

Credits

Cover: Gino Bartali 1945, autore sconosciuto. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via WikimediaFausto Coppi, Giro d'Italia 1953, autore sconosciuto. Distributed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Netherlands license via Wikimedia

Immagine interna 1: Dino-Buzzati-signing, Giorgio Lotti / Mondadori Portfolio. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via Wikimedia

Immagine interna 2: Fausto Coppi Pordoi 1952, Valentino Petrelli. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via Wikimedia

Immagine interna 3: Coppi a Bolzano Giro 1952, Valentino Petrelli. Distributed under Public Domain Mark 1.0 license via Wikimedia

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