Il vento del Far West crea una nube di sabbia, ma riusciamo a intravedere una figura. Dritta, fiera: poncho verde, mani lungo i fianchi sulla fondina, stivali impolverati, sigaro in bocca. Ha gli occhi semichiusi. Una frazione di secondo più tardi, una tromba irrompe sulla scena cancellando ogni altro suono ed è la musica a diventare protagonista, sovrastando i personaggi, riempiendo le orecchie del pubblico.
“Al cuore, Ramon, se vuoi uccidere un uomo devi colpirlo al cuore”.
Silenzio. Quando la musica tace, sono i colpi di pistola a dettare il ritmo. Una scena magistrale, sottolineata dall’indimenticabile colonna sonora di Dan Savio, o meglio, di Ennio Morricone.
L’anno è il 1964 e il film è “Per un pugno di dollari”, una pellicola che in un’ora e mezza ha cambiato per sempre il genere western, entrando nella storia del cinema con la stessa arrogante sicurezza di Clint Eastwood in quella scena. Dopo questo film, sarebbe stato impossibile immaginare un duello a colpi di pistola senza un sottofondo musicale scritto da Ennio Morricone. E pensare che nei titoli di testa, il musicista romano, Leone e l’attore Gian Maria Volonté avevano dovuto adottare degli pseudonimi americani per rendere più credibile la produzione.
Dopo questo film, il regista Sergio Leone avrebbe affrontato una lunga causa con il maestro giapponese Akira Kurosawa (che lo aveva accusato di aver plagiato il suo “La sfida del samurai”), ma questa è un’altra storia.
Dopo questo film, sono seguiti tanti altri western di firma italiana – di Leone, di Corbucci e di Sollima (tutti musicati da Morricone) – e lo spaghetti western è diventato un genere talmente di rilievo da entrare nella grammatica cinematografica di maestri come Eastwood stesso e Quentin Tarantino.
La lunga amicizia tra Sergio Leone ed Ennio Morricone era iniziata tra i banchi di scuola, nel 1937. Poi trent’anni di silenzio, fino a quell’incontro “profondamente romano” – in occasione di una serata organizzata a casa di Morricone – che il compositore stesso racconta nel libro “Inseguendo quel suono” (2016) di Alessandro De Rosa.
“Ma tu sei Leone delle elementari?”
“E tu Morricone che veniva con me a Viale Trastevere?”.
Leggenda vuole che quella sera, dopo essersi ritrovati, se ne andarono al cinema di Monteverde Vecchio, a vedere proprio “La sfida del samurai” di Kurosawa. Una coincidenza che risulterebbe difficile da credere, se non fosse che la loro era già una storia di coincidenze incredibili.
Quel giorno nacque un sodalizio unico e il famoso metodo Leone-Morricone.
Il regista, che era anche un attore dal temperamento sanguigno, recitava con enfasi tutta la sceneggiatura al musicista, che ascoltava prendendo appunti sulle inquadrature e sugli scambi di battute. Dopodiché il maestro si metteva al pianoforte e componeva la colonna sonora in base a tutto quello che aveva sentito.
Due geni, Leone e Morricone, che litigavano continuamente, confrontandosi, influenzandosi. A Morricone piacevano i silenzi, a Leone non troppo, ma alla fine rese silenziosi i suoi personaggi. Lasciò che a parlare fossero le splendide musiche del suo amico, del suo autore di “sceneggiature aggiunte” come lo chiamava lui. Non era raro infatti che fosse Leone ad adattarsi alla musica che Morricone aveva in mente e non il contrario.
Al tempo del debutto cinematografico di “Per un pugno di dollari”, la casa di produzione Jolly Film pensò che il western, il genere americano alla John Wayne per eccellenza, non fosse credibile con la firma di due nomi italiani. All’epoca non era inusuale adottare nomi americani utilizzando pseudonimi. Per esempio, lo aveva fatto Mario Bava con il suo “I tre volti della paura” (1963), firmandosi John Old. Così Sergio Leone diventò Bob Robertson, il “figlio di Roberto Roberti”, un omaggio a suo padre, grande regista del muto.
Il volto sporco del perfido Ramon era quello di John Wells, ovvero del milanese Gian Maria Volonté. E poi, dietro quella colonna sonora che mescolava trombe, fischi e rulli di tamburo, c’era Dan Savio, il trasteverino Ennio Morricone.
Quello che fu il primo western all’italiana ad essere presentato al pubblico internazionale era “tutto un altro western”: i protagonisti avevano caratterizzazioni molto più sfumate, meno manichee, ed era totalmente assente l’universo morale tipico del genere. Soprattutto la grammatica cinematografica era agli antipodi: campi lunghi si alternavano a strettissimi primi piani, i tempi erano estremamente dilatati. Le immagini vivevano in perfetta simbiosi con l’accompagnamento sonoro studiato da Morricone, che ne dettava incontrovertibilmente il ritmo epico, accompagnando lo spettatore e riempiendo i lunghi silenzi, regalando ai personaggi un’intensità mai vista prima.
D’improvviso quel nomignolo, “spaghetti western”, nato quasi con intento canzonatorio, si era tramutato in sinonimo di qualità.
Leone e Morricone erano diventati la coppia che aveva riscritto le regole dei duelli a colpi di pistola preceduti da lunghi sguardi e colonne sonore che, per interi minuti, rubavano la scena agli attori. A loro si unirono Sergio Corbucci, Enzo Castellari, Sergio Sollima e moltissimi altri, che spesso si avvalevano dell’arte musicale del maestro.
Dopo pochi film, Dan Savio sparì, perché avere una colonna sonora firmata da Ennio Morricone, ormai, era un inestimabile valore aggiunto. E Quentin Tarantino ne sa qualcosa.
Cover via Flickr. Distributed under Public Domain Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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