Letture
6 minuti
Cultura
Cultura

Fosbury, il ragazzo di 16 anni che alle Olimpiadi cambiò il mondo dello sport

22 marzo 2022

Il 20 ottobre 1968, allo Stadio Olimpico Universitario di Città del Messico, un ragazzo alto, in calzoncini, cammina nervosamente nel campo di atletica aprendo e chiudendo i pugni e guardando l’asticella del salto in alto posta a 2 metri e 24 centimetri. Quel ragazzo si chiama Dick Fosbury ed è, come lo definivano a scuola solo pochi anni prima, “il peggior saltatore di tutti i tempi”.

I suoi primi salti provocano nel pubblico un profondo senso di imbarazzo e di ilarità: quel ragazzo buffo con gli scarpini di due colori diversi, salta “al contrario”. Tutti gli altri atleti eseguono il salto frontale mentre lui, poco prima di spiccare il volo, si gira e passa sopra all’asta di schiena. Non si era mai visto nessuno saltare in quel modo. Basta un pomeriggio però per trasformarlo nell’idolo della folla. L’asticella infatti si alza sempre di più e le risate ben presto smettono di riempire gli spalti sostituite da un silenzio ammirato. Arrivati a 2 metri e 24 centimetri sono rimasti solo due atleti, americani, e uno dei due è proprio Fosbury, che continua a saltellare e a fissare preoccupato l’asta. Non ha l’attitudine del campione, né la sicurezza, né l’aggressività necessaria. I due atleti sbagliano i primi tentativi e poi è Fosbury ad avere la meglio e a portarsi a casa la medaglia d’oro e il record olimpico. Da quel momento il “fosbury flop”, il salto al contrario, è diventato il gesto atletico simbolo del salto in alto.

Dick Fosbury: un campione di tenacia

Sembrava impossibile immaginare quel finale. Quando Dick era piccolo il suo unico talento era l’abilità di contraddire i genitori, la tenacia di inseguire una strada per la quale a tutti gli effetti non sembrava essere tagliato. Da adolescente aveva provato in tutti i modi a restare al passo con la squadra di atletica leggera della scuola ma era il peggiore in assoluto. Era arrivato al punto di pensare che forse sarebbe stato meglio dedicarsi ad altro. Tutti saltavano più in alto di lui e l’allenatore lo iniziò alla tecnica a “forbice”, che era molto in voga all’inizio degli anni ‘50 prima che il salto “ventrale” diventasse la norma. I suoi risultati migliorarono di poco, nulla che lo faceva spiccare. Il coach dell’epoca, Benny Wagner, gli consigliò di lasciar perdere. Di dedicarsi ai cento metri, con quelle gambe lunghe, o magari al salto triplo.

Ma Fosbury non voleva cambiare sport. Sapeva che la sua tecnica era un disastro e aveva perfino provato a elaborarne una nuova combinando un pasticcio. “Molla” gli dicevano tutti, mentre il tempo passava e la carriera professionistica sembrava non più un sogno ma un miraggio. Ma si sa, come abbiamo detto fu la testardaggine a rendere il peggior saltatore della storia un campione olimpico. E così a Fosbury venne l’illuminazione.

Un salto al contrario

Dick, che dopo l’avventura olimpica sarebbe diventato un ingegnere, aveva una mente matematica decisamente fuori dagli schemi. Una notte era rimasto sveglio a immaginare questa pazzia: aveva notato che col salto a “forbice”, quando sollevava le anche, le spalle arretravano e la schiena appiattendosi passava più facilmente sopra l’asticella. In questo modo se ci si torceva poco prima di spiccare il volo si riusciva a saltare molto più in alto inarcando la schiena. Con questa intuizione Fosbury si schierava apertamente contro lo status quo del salto in alto. Non c’era una regola che vietasse il movimento, perché il salto in alto prevedeva semplicemente che l’atleta superasse l’asticella, per l’appunto, ma il salto frontale era consuetudine. Le cose andavano fatte in quel modo. Solo che Dick Fosbury non era d’accordo e cominciò a saltare al contrario.

In una disciplina in cui i miglioramenti personali sono molto duri da raggiungere, le sue performance migliorarono improvvisamente di oltre 15 centimetri. Iniziò a utilizzare la sua tecnica nel 1963, a soli 16 anni, e diventò lo zimbello dei campi d’allenamento. Un saltimbanco spericolato che rischiava di rompersi l’osso del collo. Nel ‘66, dopo aver vinto i campionati juniores, smisero di prenderlo in giro.

Sul podio, la medaglia d’oro attorno al collo

Torniamo in Messico nel 1968. Fosbury era riuscito a strappare l’ultimo pass disponibile per partecipare alle Olimpiadi. Gli sembrava un sogno: lui, l’ultimo della squadra, era lì a rappresentare il suo Paese tra il gotha dell’atletica mondiale. Arrivò come un perfetto sconosciuto ma dopo i primi salti diventò una vera e propria attrazione. La gente seguiva le sue performance con gli occhi incollati alla pedana e il sorriso sulla faccia, incerta se pensare che si trattasse di uno scherzo. Non mancavano ovviamente i detrattori tra i puristi dello sport. Alcuni vedevano nel gesto di Fosbury un insulto, un gesto di aperto scherno nei confronti degli altri saltatori. A un certo punto lui stesso diventò paranoico sentendosi quasi un fenomeno da baraccone.

Nonostante le paure, quel salto gli valse un posto nella storia. Alla fine Fosbury superò tutte le asticelle al primo tentativo fino ai 2,24m. Il pubblico era ipnotizzato. Il sovietico Gavrilov, atleta eccezionale che avrebbe vinto l’oro agli Europei di Atene nel ‘69, si fermò a 2,22m. L’uomo da battere era il connazionale Ed Caruthers, reduce da un’ottima performance alle Olimpiadi di Tokyo quattro anni prima. Ma quattro anni prima non c’era Dick Fosbury che salì sul podio con la medaglia d’oro al collo, ancora un po’ stordito e incredulo. Alzò il pugno al cielo con il sorriso di chi sa di aver cambiato la storia.

A questo punto la storia prende una piega inaspettata. E a dire il vero, non è che il resto sia andato proprio come nei piani. Tornato a casa Dick fu incensato come un grande campione ma ben presto divenne insofferente alle luci dei riflettori. Mollò lo sport e si dedicò allo studio, conseguendo una laurea in ingegneria civile, trasferendosi nell’Idaho e svolgendo a tutti gli effetti una vita normale. La sua decisione lasciò di stucco tutti: il campione olimpico che aveva cambiato la faccia di uno degli sport simbolo dell’atletica non avrebbe nemmeno partecipato alle successive olimpiadi di Monaco di Baviera. Era stato a tutti gli effetti una meteora, uno spirito rivoluzionario che aveva sfidato il sistema. E d’altronde Dick Fosbury era così: ostinato, sorprendente. Uno che saltava al contrario.

Cover: Fosbury Flops, photograph by Oregon State University, distributed under a CC-BY-SA 2.0 license on Flickr
Immagine interna: Bundesarchiv, Bild 183-N0601-0040 / CC-BY-SA 3.0 via Wikimedia

argomenti trattati

Vuoi informazioni sulla nostra consulenza e sui nostri servizi?

Naviga il sito e vedi tutti i contenuti di tuo interesse