John Steinbeck è uno dei massimi esponenti della letteratura americana e mondiale, vincitore del National Book Award e del Premio Pulitzer nel 1940 per The Grapes of Wrath, in italiano pubblicato con il titolo Furore. Il testo è considerato il romanzo-simbolo della Grande Depressione americana degli anni Trenta, tanto che sulle pagine del New Yorker, nel 1939, il giornalista Clifton Fadiman con un’arguta previsione scrisse: “Sembra un'idea folle, lo so, ma sento che questo libro [Furore] potrebbe forse rappresentare per i nostri tempi quello che I Miserabili, La Capanna dello Zio Tom e Il libro della giungla hanno significato per le loro rispettive epoche”.
Forse meno lettori sanno che John Steinbeck, è stato era anche un prolifico scrittore di lettere. Steinbeck: A Life in Letters, costruisce una biografia alternativa dell'iconico autore attraverso circa 850 delle sue lettere più ponderate, spiritose, oneste, vulnerabili e rivelatrici indirizzate a familiari, amici, il suo editore e a una cerchia di personaggi pubblici noti e influenti. Nella sua corrispondenza è presente una bellissima risposta, risalente al 1958, alla lettera del figlio maggiore Thom che gli confessava di essersi perdutamente innamorato di una compagna di corso all’Università, Susan. La replica del padre è la lettera sull’amore che tutti avremmo voluto ricevere dai nostri genitori.
Steinbeck decide di non limitarsi alle congratulazioni e a esprimere la gioia di un padre, ma di rispondere alla domanda che emerge, con un po’ di pudore e paura, dalla lettera del figlio: “Non credo che tu stessi chiedendomi cosa provi. Tu lo sai meglio di chiunque altro. Tu vuoi un aiuto per capire cosa fare, e io posso dirtelo”. L’amore per una donna irrompe nella vita del giovane Steinbeck il quale, come ogni ragazzo o ragazza della sua età, è inebriato dall’eccitazione che gli procura il sentimento, ma timoroso di non sapere come comportarsi. Lo scrittore nordamericano esordisce invitando il figlio a gioire dell’amore che prova e a difenderlo: “Primo, se sei innamorato, è una cosa bella, forse la migliore che possa capitarti. Non permettere che nessuno la sminuisca o la renda meno importante”.
A seguire, il padre sceglie di dare al figlio gli strumenti per distinguere gli amori che indeboliscono da quelli che fortificano chi ama: “Ci sono molti tipi di amore. C’è quello egoistico, meschino, avaro, che usa l’amore per l’auto affermazione. È il tipo terribile e paralizzante”. Steinbeck mette in guardia il figlio Thom e lo invita a imparare a riconoscere quei rapporti che si basano su presupposti sbagliati, perché non alimentati dalla stima reciproca bensì dal desiderio, egoistico, di celebrare se stessi. Lo scrittore descrive al giovane quegli amori che confondono, più o meno inconsapevolmente, il sentimento d’amore con il possesso e il controllo della persona amata. Se si proietta sull’oggetto del desiderio la voglia di essere apprezzati e si cercano nell’altro conferme alle proprie insicurezze, il rischio è quello di perdere di vista l’amore e, come nel mito di Narciso, affondare cercando di amare se stessi attraverso un riflesso.
“L’altro tipo è la manifestazione di tutto quanto di buono c’è in te: la gentilezza, la considerazione, il rispetto, non solo il rispetto sociale delle buone maniere, ma il rispetto in senso più alto, cioè il riconoscimento dell’altro come unico e prezioso”, scrive l’autore introducendo al figlio la forza rigeneratrice che regala un rapporto sano. L’amore che rende migliori gli amanti è facile da riconoscere quanto difficile da trovare, si tratta di quei legami che ampliano i confini della propria vita interiore: la bellezza sta nell’amare l’altro e proprio per questo sentirsi migliori. “L’amore del primo tipo ti può rendere malato, piccolo e debole”, avverte Steinbeck, “ma quello del secondo tipo ti può dare una forza, un coraggio, una bontà e persino una saggezza che neanche sapevi di avere”. Il filosofo e professore Umberto Galimberti nel suo saggio intitolato Le cose dell’amore, descrive in questo modo la conoscenza di sé attraverso la persona amata: “La vertigine che accompagna la scoperta di quegli aspetti di me che solo l'altro può svelarmi. Nella mia esitazione c'è il dramma di ogni trascendenza, consiste nel sapere qualcosa di sé per dono dell'altro”.
Esistono libri per imparare a padroneggiare ogni sorta di abilità, ma quelli che riescono a insegnare cosa sia l’amore, come riconoscerlo e come viverlo appieno nel rispetto della persona amata sono molto pochi. Galimberti ritiene che il testo più importante sull’amore l’abbia scritto Platone ed è Il Simposio. “Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l’uno dall’altro”, scrive Platone, “Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio”. “Amore comincia là dove c’è il collasso del linguaggio”, questa l’esegesi che propone il professor Galimberti.
Nella lettera che John Steinbeck indirizza al figlio Thom si evince la sua consapevolezza su quanto sia sfuggente la materia dell’amore e quanto le parole non riescano sempre a identificarne la sostanza. “A volte succede che per qualche ragione ciò che tu senti non sia ricambiato, ma questo non rende quello che provi meno buono o prezioso”, scrive l’autore con l’intento di tranquillizzare il figlio. Ogni grande scrittore si è scontrato con la inafferrabilità del sentimento d’amore: il saggista e critico letterario francese Roland Barthes, nel 1977, pubblicò il celebre testo Frammenti di un discorso amoroso, partendo da questa analisi: “La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d'una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di individui, ma non è sostenuto da nessuno”.
Anche Barthes, nel suo saggio, afferma che l’amore si manifesta soprattutto attraverso il linguaggio, motivo per il quale l’innamorato vuole parlare di continuo del sentimento che prova. L’innamorato è ossessionato dal tentativo di spiegare a sé e agli altri perché “di questi milioni io posso desiderarne delle centinaia; ma di queste centinaia, io ne amo solo uno”. Eppure, proprio in questo punto, risiede il più grande paradosso del discorso amoroso: il linguaggio non potrà mai afferrare un sentimento ineffabile e illogico, per questo risulterà sempre impreciso e insufficiente, la frustrazione di chi ama è dettata dalla discrepanza tra ciò prova e ciò che dice.
Steinbeck non vuole che il figlio percepisca la naturale indefinibilità dell’amore come un limite, al contrario: “Esulta, sii felice e grato. L’oggetto d’amore è il migliore e il più bello. Cerca di esserne all’altezza”, scrive. Nel 1962, John Steinbeck, venne insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “Per le sue scritture realistiche e immaginative, che uniscono l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”. Anche nelle sue lettere private e in particolar modo in questa inviata al figlio Thom, il lettore può apprezzare il connubio che Steinbeck riesce a creare tra i sentimenti e l’attenta osservazione della realtà.
La missiva si chiude con la più grande infusione di coraggio che un genitore possa dare a un figlio: “E non avere paura di perdere. Se è la cosa giusta, accadrà. La cosa più importante è non avere fretta. Le cose belle non scappano via”. Avere il privilegio di leggere le parole rassicuranti di un padre – perdipiù un grande scrittore – intento a guidare un figlio nel mondo irrazionale, seppur inebriante, dell’amore è un’occasione che nessun lettore deve perdere. Anche perché John Steinbeck, chissà se consapevolmente, in questa lettera ha sintetizzato un’altra forma di amore: quella inesauribile dei genitori nei confronti dei figli.
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