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Il latino è il fondamento della nostra cultura. Ecco perché non possiamo farne a meno

10 aprile 2022

Da anni intorno al latino è stato imbastito un discorso che spesso ha finito per assumere quasi  i toni quasi della denigrazione. L’accusa principale si può riassumere con la frase: “Il latino è una lingua morta”. Da qui sono sorti diversi interrogativi sull’utilità delle tante ore di insegnamento del latino nei licei. Un’autorevole risposta è arrivata da Gramsci: “Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita”.

Questa ricomposizione non è soltanto un’astratta nostalgia dei tempi che furono, ma una tangibile presenza del latino nelle principali lingue moderne dell’occidente. L’italiano, ma non solo, è un suo figlio diretto, e studiare il latino ne aumenta la fluidità, fa apprendere al meglio la consecutio temporum e allarga gli orizzonti linguistici. Il latino è una lingua che non necessita di tornare in auge, poiché non è mai realmente scomparsa. L’errore sta nell’approccio, quando viene studiata come una lingua straniera senza però questa funzione nella vita di tutti i giorni. Il “corpo storico” citato da Gramsci rappresenta le nostre radici. È come quando, durante uno scavo archeologico, quel che salta fuori entra in contatto con un tempo diverso, un reperto da ricollocare nel suo contesto e capire cosa è avvenuto tra il suo tempo e il nostro.

Proprio su questo tema Nicola Gardini, insegnante a Oxford, ha pubblicato nel 2016 Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile. Gardini vede il latino come il codice genetico dell’Occidente e allo stesso tempo il suo sistema immunitario. Inoltre il suo studio viene descritto come un esempio di pedagogia avanguardistica, un vanto per il sistema scolastico italiano. È altresì rilevante la voce di chi considera affascinante il latino, ma negativa l’imposizione e i metodi con cui viene insegnato. Umberto Eco ad esempio, nel suo libro Il costume di casa. Evidenze e misteri dell’ideologia italiana, ha scritto: “Sono molto contento di avere imparato il latino, anche se sono scontento del modo doloroso con cui mi è stato imposto”.

Un discorso sulla didattica è certamente necessario, così come uno svecchiamento dell’insegnamento del latino per farlo apprezzare agli studenti. Questa però è un’osservazione che può essere fatta a qualsiasi materia. Il rischio dell’apprendimento passivo è sempre dietro l’angolo, e d’altronde a chi si interroga sull’utilità futura di sapere fero-fers-tuli-latum-ferre, si può rispondere che non a tutti nella vita servirà conoscere le equazioni di Maxwell o la vita di Carlo Magno. Questo perché è necessario in primis allontanarci dal concetto di “utilità” legato alla scuola, come se fosse una formazione limitata ai meccanismi basilari per sopravvivere nel mondo.

Fino al 1977 il latino si studiava anche alle scuole medie. Adesso c’è chi sostiene che sia utile reintrodurlo, per lo meno come materia extra-curriculare. Studenti che, anche senza studiarlo, già se lo ritrovano in diversi ambiti. Basti pensare alla classificazione delle specie, oppure al periodo in cui il latino era la lingua universale dei dotti, della scienza e del clero. Galileo ha scritto in latino il suo Sidereus Nuncius, e Dante lo usò per mostrare la bellezza del volgare nel De vulgari eloquentia. Quindi è errato ricondurre il latino alle noiose traduzioni del De bello gallico, tra spostamenti di truppe e descrizioni della vita militare, o a un esercizio mnemonico.

Il luogo comune “Il latino serve per allenare la mente” lo svilisce, manco fosse La settimana enigmistica. Allo stesso tempo non si può generare una competizione tra materie scolastiche, quando il discorso si riduce a “latino o scienze”, “latino o arte”. L’importanza del latino non sminuisce quella di altre materie. Semplicemente il suo corpo storico ha un peso importante, e conoscere e tramandare la nostra cultura non vuol dire imbalsamare il passato, semmai restare ancorati al continuum della Storia e delle sue innumerevoli forme. Per ricordarci chi eravamo, da chi e da cosa veniamo, o anche solo per il gusto di farlo, sconfiggendo il demone dell’utilità a tutti costi, così presente e asfissiante ai giorni nostri.

Credit

In cover "Morte di Cesare", Karl Theodor von Piloty, 1865. Distributed under Public Domain CC-PD-Mark via Wikimedia

Immagine interna 1: dettaglio della Basilica di San Pietro a Roma. CC0 Public Domain via Pxhere

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