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La scienza ci insegna che è possibile contrastare la tristezza, l’emozione più lunga di tutte

15 marzo 2021
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Una delle qualità che distinguono gli esseri umani dalle altre specie viventi è la capacità di provare una vastissima gamma di emozioni. Nonostante oggi sappiamo che anche alcuni animali, come elefanti o balene, sono in grado di provare sentimenti tipicamente "umani" – come gioia o empatia – le persone dispongono di una varietà di sfumature emozionali unica nel suo genere. Non tutte le emozioni si manifestano però con la stessa intensità né presentano la stessa durata. Uno studio del 2014, intitolato “Quali emozioni durano di più e perché: Il ruolo dell'importanza dell'evento e del rimuginio” (Which emotions last longest and why: The role of event importance and rumination), ha evidenziato che la tristezza può durare fino a 240 volte più delle altre emozioni.

È importante distinguere le emozioni, o "esperienze emozionali" (emotional episodes), dall'umore (mood). Le prime scaturiscono infatti da un evento preciso e terminano quando l'intensità dell'emozione ritorna al livello di partenza: presentano quindi una durata quantificabile. L'umore, al contrario, non è necessariamente collegato ad un episodio scatenante, quindi non è possibile stimarne con precisione la durata. Il riconoscimento delle emozioni in quanto esperienze emozionali vere e proprie non è un processo immediato: per questo motivo gli autori dello studio citato si sono assicurati che i partecipanti - 233 studenti olandesi - fossero consapevoli di tale distinzione prima di sottoporli all'indagine.

L'obiettivo principale della ricerca era esaminare l'intensità e la durata media di 27 diverse emozioni, dalla noia alla compassione, dalla gioia alla gelosia passando per il disappunto, il disgusto e l'entusiasmo. Le emozioni sono poi state associate agli episodi che le avevano scatenate, dei quali è stata analizzata la natura: questi potevano essere percepiti, per esempio, come più o meno importanti, giusti o vantaggiosi, a seconda dei gusti, degli obiettivi e delle priorità dei partecipanti. Infine, gli autori della ricerca hanno indagato il modo in cui le persone avevano gestito le emozioni con le quali si erano scontrate: le esperienze emozionali possono infatti essere evitate o affrontate, negate o modificate, nascoste o, al contrario, divenire oggetto di profonde riflessioni.

Dallo studio è emerso che il primato dell'emozione più "lunga" spetta alla tristezza, la cui durata può arrivare a 120 ore: ben 240 volte superiore alla vergogna, che è invece la più breve. La durata della tristezza è immediatamente seguita da quella di speranza e disperazione, mentre sono emozioni di "media" durata lo stress, l'orgoglio e l'umiliazione. Non vi sono differenze significative fra partecipanti di genere maschile e femminile, nonostante queste ultime tendano a riportare emozioni di durata complessivamente più lunga.

Le emozioni che durano di più scaturiscono, in genere, da eventi ai quali attribuiamo una maggiore importanza, sulla base dei nostri valori, delle nostre esperienze passate e delle conseguenze che questi potrebbero generare nel futuro. Il fatto che un evento sia ritenuto particolarmente significativo implica un maggior coinvolgimento emotivo e, di conseguenza, fa sì che l'emozione venga investita di una maggiore intensità, dilatando anche il tempo necessario affinché questa ritorni al livello di partenza. Secondo gli autori dello studio, quindi, il fatto che l'origine della tristezza coincidesse quasi sempre con episodi particolarmente significativi per i partecipanti ha contribuito ad aumentare del tempo necessario alla sua estinzione.

Tuttavia, la ragione per cui la tristezza persiste per un lasso di tempo molto superiore ad altre emozioni è legata soprattutto alle modalità che le persone adottano per affrontarla. Fra queste rientrano alti livelli di "rimuginìo" (rumination), ovvero di pensieri ripetitivi, incessanti e sempre uguali riferiti all'episodio che ha scatenato l'emozione. Gli individui si trovano così a rivivere passivamente la stessa situazione provando, di conseguenza, la stessa emozione.

Si tratta di un meccanismo di difesa automatico: inconsciamente, ripensare alle circostanze che hanno generato l'emozione negativa illude le persone che sia possibile modificare la realtà, cambiando – almeno temporaneamente – il corso di eventi che non sono pronte ad affrontare. Così facendo, però, si impedisce alla mente di elaborare strategie più funzionali per gestire l'emozione stessa: aumenta, in questo modo, il rischio di sprofondare in una spirale di negatività dalla quale è poi difficile riemergere. Le persone, quando rimuginano, diventano vere e proprie spettatrici dei propri pensieri e ciò è sufficiente a prolungare la loro esperienza emozionale, con un'intensità molto simile a quella che si verificherebbe se lo stimolo si ripresentasse fisicamente.

Fortunatamente, il rimuginìo non è una condizione ineluttabile: poiché i pensieri ripetitivi riflettono l'illusione di poter cambiare gli eventi, accettare che questi appartengono al passato può ridurre la durata delle relative emozioni spiacevoli. Da uno studio pubblicato l'anno scorso su Social Cognitive and Affective Neuroscience è emerso che la meditazione rappresenta uno strumento efficace per correggere il modo in cui la mente valuta gli stimoli negativi: così, da stimoli percepiti come meno rilevanti scaturiscono emozioni di minore intensità e si riduce, di conseguenza, il tempo necessario affinché queste si estinguano del tutto.

Non è necessario essere "meditatori" esperti: grazie a semplici tecniche di mindfulness meditation (meditazione consapevole) le persone possono imparare ad accettare gli eventi negativi senza giudicarli, frenando quel flusso di tristezza e preoccupazione che si attiva durante la fase del rimuginìo. Concentrarsi sull'ascolto delle proprie sensazioni corporee e sul ritmo della propria respirazione consente di distogliere l'attenzione dal ricordo degli eventi passati, per focalizzarla invece sul momento presente: esami condotti tramite risonanza magnetica funzionale hanno evidenziato che, da un punto di vista fisiologico, ciò si traduce in una ridotta attivazione delle regioni cerebrali che regolano le emozioni negative.

La capacità di provare tristezza appartiene alle qualità che ci rendono umani: essere tristi quindi non solo non si può evitare, ma rappresenta una tappa fondamentale della nostra crescita personale. D'altra parte, abbandonarsi alle emozioni negative senza fare nulla per superarle rischia di farci sprofondare in un circolo vizioso che può, in ultimo, danneggiare la nostra capacità di interpretare correttamente la realtà. Riconoscere e accettare il proprio stato d'animo, anche quando negativo, rappresenta quindi il primo passo per lasciare andare il passato e cogliere l'opportunità di apprezzare il presente.

Articolo di Elisa Berlin

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