Il gin è uno dei distillati più pregiati e amati a livello internazionale. Il suo aroma predominante si ottiene dalla distillazione delle bacche di ginepro, ma in commercio esistono numerose ricette e processi diversi, che rendono questo alcolico una bevanda d’eccellenza, ricca di sfumature. In Brianza, nel 2018, è nata una distilleria indipendente molto interessante, la prima nella zona da 30 anni, dall’idea di un giovane milanese appassionato di boschi e aromi, Eugenio Belli. Il suo marchio, Eugin, produce alcune migliaia di bottiglie di gin l’anno, dando grande attenzione alla qualità di ogni singola bottiglia e al rispetto dell’ambiente.
Evitando l’uso di aromi ed essenze artificiali, Eugin omaggia il territorio brianzolo creando ricette creative con ingredienti il più possibile locali, a volte anche autoprodotti. Al centro del suo lavoro c’è l’alambicco, il macchinario utilizzato per la distillazione, in questo caso alimentato tramite corrente elettrica – e non gas come spesso accade – per avere il minimo impatto sull’ambiente. Abbiamo intervistato Belli per chiedergli come sia nata l’idea di mettersi in proprio in questo campo, portandolo insieme al fratello Niccolò, a produrre due gin stabili, acquistabili tutto l’anno, e 4 edizioni stagionali che stanno riscuotendo un buon successo.
Come è nata l’idea di aprire una distilleria?
L’idea originale nasce nel 2013, all’epoca ero ancora impegnato negli studi per la mia laurea triennale in Filosofia. In una sera come tante, mi è capitato di guardare in televisione il film Profumo di Tom Tykwer. Da lì mi è venuta la voglia di giocare con gli aromi e di distillarli, così ho comprato un alambicco domestico. La mia idea iniziale era di distillare gli oli essenziali delle piante, ma presto mi sono accorto che per ottenere una boccetta di olio ci vuole una grandissima quantità di materiale. Allora ho provato a distillare del sidro avanzato da un viaggio in Bretagna per ottenere una sorte di calvados, un’acquavite tipico nel sud della Normandia. Poi sono passato al gin, una bevanda che ho sempre apprezzato.
Ha poi frequentato qualche corso di distilleria o ha lavorato da autodidatta?
Sono sempre stato appassionato di cucina, di ingredienti, di trasformazione, ma per quanto riguarda la tecnica della distillazione sono assolutamente autodidatta. La mia è la prima distilleria in Brianza da non meno di 30 anni. E infatti quando sono andato alla dogana per le pratiche di apertura nemmeno i funzionari erano sicuri di quali fossero i procedimenti necessari. I problemi che ho riscontrato quando ho iniziato sono stati quelli tipici di chi nel settore è tra i primi ad avviare una nuova attività, per esempio per quanto riguarda la normativa sanitaria. Ho impiegato circa 2 anni a ottenere la licenza.
Sul sito di Eugin ho letto che il suo alambicco ha addirittura un nome, Robert. Mi parli di “lui”.
Anche quella che riguarda l’alambicco è una storia abbastanza lunga. Quando ho deciso di aprire la distilleria ovviamente il macchinario più importante da reperire era proprio l’alambicco. Inizialmente l’ho cercato in Italia, ma non ho trovato grande interesse da parte delle aziende; allora ho iniziato a fare ricerca all’estero, soprattutto in Germania, dove il settore delle microdistillerie è molto più grande. Vsto che all’estero il gin è molto richiesto, la lista d’attesa per commissionare la produzione di un alambicco era lunghissima, e ottenerlo poteva richiedere anche un anno. Alla fine mi hanno risposto aziende piccole, che avevano più possibilità di fornire il macchinario in tempi brevi. In realtà mi piace lavorare con aziende di questo tipo perché si riesce ad avere un rapporto personale coi produttori. Mi sono orientato verso un’azienda in particolare, la Müller, gestita da ben 5 generazioni dalla stessa famiglia. Sono rimasto molto colpito dal fatto che il proprietario non abbia cercato di vendermi a ogni costo il suo prodotto, ma abbia sottolineato la necessità di imparare a essere un bravo distillatore. Ovviamente io non lo ero ancora.
Oggi qual è il tipo di ricerca che opera per selezionare gli aromi per un gin?
Si tratta di una ricerca gustativa e territoriale. Per quanto riguarda i gin stabili, quelli che vendiamo tutto l’anno, ho deciso che a partire dal 2020 saranno il più brianzoli possibile. Io sono nato e cresciuto a Milano, ma l’azienda è in Brianza e vorrei renderle omaggio dando al prodotto una connotazione locale. Siccome nella zona lecchese c’è una grande tradizione di coltivazioni di erbe, ho deciso di prendere gli aromi da quella zona, anche perché a mio parere non avrebbe senso produrre un gin a Lodi e acquistare gli ingredienti da un grossista. È tutto lavoro in più, ma sono convinto che ne valga assolutamente la pena. Penso che la territorialità sia il futuro dei distillati senza invecchiamento.
Per il momento la richiesta è focalizzata in Brianza o si sta allargando?
I gin a nostro marchio si concentrano soprattutto sulla Brianza e a Milano, anche perché sono sempre io che, oltre a produrre, mi occupo di gestire la parte commerciale. Se dovessi allargare l’offerta, comunque, per me sarebbe di fondamentale importanza che dietro la bottiglia rimanessero la mia identità e quella dell’azienda. Non vorrei che il mio prodotto finisca per essere solo un numero in un elenco, perdendo completamente il valore che c’è dietro grazie al mio lavoro. Prima di tutto punto sulla qualità del prodotto. Ciò che potrebbe accadere, anche prima del previsto, è di dover acquistare un laboratorio più grande e di raddoppiare il numero degli alambicchi: così potrei mantenere un alto controllo artigianale sulla produzione, ma allo stesso tempo intensificarla.
Qual è l’aspetto più appagante del suo lavoro?
Sicuramente inventare nuove ricette. Quando vado in un bosco ormai non vedo più le piante, ma gli ingredienti. La versione primavera, che l’anno scorso ha venduto benissimo, tanto che e quest’anno dovrò produrne una quantità di molto superiore, è nata perché 3 anni fa, a metà marzo, ero andato a fare un giro nei boschi: mentre camminavo ho visto delle primule, le ho assaggiate e sono rimasto colpito dal loro sapore, simile al miele. Così ho deciso di farci un gin. Per la versione estiva ho coltivato personalmente alcuni degli ingredienti, e per l’autunnale ho raccolto castagne con l’aiuto della mia compagna. L’unica eccezione realizzata senza ingredienti autoprodotti o raccolti è stata la versione invernale, perché in questo periodo in Brianza cresce solo la verza, e non è proprio l’ingrediente più adatto per un gin. La soluzione sono stati gli agrumi: anche in quel caso però li ho acquistati freschi, da fornitori di fiducia, per poi pelarli e disidratarli io stesso.
Un’ultima domanda, una vera e propria curiosità. I gin stabili sono il n°7 e il n°9. E il n°8?
Il n°8 era in realtà il vero n°9. La prima versione era nata dopo l’ennesima passeggiata per raccogliere ingredienti. Ho visto un pino ed ero convinto fosse un pino silvestre, carico di queste pigne piccole e di colore verde, piene di resina. Da cruda non era buona ma ho deciso di distillarla, ed effettivamente ne è nato un gin fantastico. Il problema è che quello che io pensavo fosse un pino silvestre era in realtà un pino mugo e, oltre a essere molto raro, è proibito per legge coglierne i germogli perché considerato specie protetta. Ho quindi deciso di utilizzare l’ingrediente che più somigliava a quelle pigne e ho optato per le gemme di abete. È nato così il n°9.
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