Letture
6 minuti
Fotografia
Fotografia

Finding Pier Luigi Nervi, il progetto fotografico che racconta il grande ingegnere italiano

11 agosto 2019
autore:

Marco Menghi e Matteo Cirenei sono due fotografi di architettura. Da cinque anni portano avanti insieme un progetto su Pier Luigi Nervi, il grande ingegnere e architetto maestro delle strutture in ferro-cemento (una versione light del cemento armato, di sua progettazione), che dal 1920 al 1979 – anno della scomparsa – ha costruito strutture rimaste iconiche. Dallo stadio di Firenze, al Grattacielo Pirelli a Milano, realizzato insieme a Gio Ponti, fino al Palazzo delle Esposizioni a Torino, progettato con Ettore Sottsass, Nervi è riuscito nella sua opera a coniugare la funzionalità degli edifici, suo primo pensiero, con un’estetica che ancora oggi risulta estremamente attuale.

Nato nel 1981 a Sondrio, Nervi fondò nel 1923 la sua prima impresa a Roma e continuò incessantemente a far ricerca, proponendo soluzioni all’avanguardia in grado di consentire anche minori costi di costruzione. Fu il primo, ad esempio, ad adottare il metodo della prefabbricazione anche nelle grandi strutture. Di lui si diceva che avesse “l’audacia dell’ingegnere, la fantasia dell’architetto, la concretezza dell’imprenditore”. Il matrimonio tra architettura, ingegneria e impresa si tradusse sempre nella particolare potenza espressiva di edifici e strutture, in Italia ma anche all’estero, tra ponti, stadi, grattacieli, stazioni e aviorimesse, fabbriche e cattedrali, che hanno attraversato il Ventesimo secolo. Le forme eleganti tutt’oggi conservano un fascino che le fotografie di Menghi e Cirenei non mancano di restituire, con immagini in bianco e nero in cui la luce gioca con gli spazi pieni e vuoti, raccontando geometrie che sembrano impossibili.

Come mai avete deciso di iniziare un progetto proprio su Pier Luigi Nervi?
Matteo Cirenei – Da anni stavo portando avanti il progetto "Sundials", che indaga le forme dell'architettura quando la luce interagisce con la materia, generando nuove matrici visive dal gioco di chiari, scuri e forme geometriche. Rimasi affascinato dalle immagini di Mario Carrieri di alcuni progetti di Nervi e iniziai a documentarmi. In quel periodo avevo conosciuto Marco Menghi e gli proposi di andare insieme a fotografare quei luoghi molto suggestivi e spesso dimenticati. Avevo appena acquistato una camera di grande formato con cui ho cambiato radicalmente modo di fotografare, iniziando a lavorare in un formato diverso e con punti di vista molto più larghi. Io e Marco siamo diventati complementari sul campo: io ho sempre documentato con una visione ampia, lui con un occhio di riguardo ai dettagli e alla composizione formale.
Marco Menghi – Grazie a Matteo, che cinque anni fa mi ha coinvolto in questa avventura, ho avuto modo di confrontarmi con un tema che stavo ricercando da tempo all'interno dell'ambito fotografico, legato all'Architettura, e in cui mi ero imbattuto molto raramente. Si tratta di una sorta di ossessione personale che riguarda i tre canoni fondamentali espressi dall'architetto Vitruvio nella sua opera maggiore De Architectura, studiata all'università grazie al mio ex professore di Storia dell'Architettura Luciano Pattetta: utilitas, firmitas e venustas (utilità, fermezza e bellezza). Il lavoro di Nervi rappresenta in modo perfetto questi tre concetti fondamentali. L'uso del medio formato quadrato (che per tradizione è un formato aureo) mi ha aiutato ad avvicinarmi e dare risalto a questi tre concetti fondamentali.

Come nasce la vostra collaborazione?
MC – Ci siamo conosciuti a una mostra e abbiamo da subito trovato affinità non solo culturali, ma anche tecniche (siamo entrambi appassionati di attrezzature analogiche), e avendo 20 anni di differenza abbiamo scoperto di essere davvero complementari e di poter imparere l'uno dall'altro. Abbiamo realizzato insieme un reportage sul cantiere di Expo Milano 2015, e subito è partito anche il progetto su Nervi.
MM – Da allora sono nate un'amicizia e un’intesa uniche, che ci hanno portato a essere quello che siamo ora, una coppia di fotografi con 20 anni di differenza e una forte passione in comune, la fotografia di architettura.

Come mai avete scelto questa branca della fotografia?
MC – L’architettura è l'ambito in cui mi trovo più a mio agio, non solo perché ho una laurea in questo ambito, ma anche per l'approccio riflessivo, metodico, rituale che ho con la fotografia.
MM – Mi sono sempre interessato a questo ramo della fotografia, ho avuto modo di potermi confrontare in altri campi del settore, come la fotografia di Still Life o di Moda. Questo però rimane l’ambito che mi interessa maggiormente indagare. La laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano sicuramente mi è servita a sviluppare una sensibilità maggiore.

Il progetto si chiama "Finding Pier Luigi Nervi". Che cosa avete "trovato" in cinque anni di ricerca?
MC – Abbiamo visto di persona le realizzazioni, captandone lo spazio e assimilando in maniera assai più pregnante il senso del progetto rispetto alla lettura dello stesso sulle pagine di un libro, e questo ci ha permesso di scoprire alcune analogie tra i manufatti e di intravedere l’evoluzione progettuale di Nervi.

Per il momento quanti edifici avete fotografato? Come mai siete partiti da questi?
MC – Al momento abbiamo raccolto le immagini di 21 opere, tra magazzini, palazzi, palazzetti, silos, serbatoi, ponti e stadi. La prima è stata la Cartiera Burgo di Mantova, che abbiamo fotografato nell'aprile del 2015. Siamo partiti dalla Cartiera perché abbiamo avuto la possibilità di accedervi nel periodo di tempo in cui era ancora abbandonata, appena prima del progetto di riconversione, documentando quindi l'interno con la macchina originale, che ora non c'è più. Dopo la Cartiera di Mantova, grazie all'Arch. Cristiana Chiorino che ci ha aiutato nella fase iniziale del progetto, siamo passati alle grandi opere di Torino degli anni Sessanta, e in seguito, dopo aver conosciuto anche Elisabetta Margiotta Nervi della Fondazione Pier Luigi Nervi Project che da allora patrocina il progetto, abbiamo cominciato a percorrere la penisola alla ricerca delle altre opere fotografabili.

Quante ne mancano in Italia e quante all’estero? Le inserirete nel progetto?
MC – In Italia ne mancano poco meno di una decina, ovviamente tralasciando alcune opere poco importanti, troppo modificate o assolutamente inagibili. Per gli edifici all'estero aspettiamo di concludere il lavoro su quelli italiani, di fare una pubblicazione, in modo da poter trovare dei finanziatori e proseguire.

Teatri, grattacieli, stadi e palazzetti, silos e fabbriche, fino alle terme di Chianciano: cosa lega questi edifici e in che elementi secondo voi traspare maggiormente l'identità di Nervi?
MC – Lo slancio, la leggerezza, e allo stesso tempo la forza, la solidità.
MM – Ciò che lega questi edifici è la forma imponente, spesso perfino monumentale, ma sempre modellata dalla mano dell'uomo, che crea una sorta di equilibrio perfetto. Il legame unico che accomuna queste opere è l'ingegnoso sistema di costruzioni che Nervi ha inventato per sfruttare fino in fondo la plasmabilità del ferro-cemento, riprendendo le forme auree della natura.

La vera forza di questi edifici è secondo voi estetica o tecnica?
MC – La genialità di Nervi ha creato degli edifici iconici per il perfetto connubio di tecnica ed estetica.
MM – Nervi ha sintetizzato un equilibrio perfetto tra questi due elementi (tecnica ed estetica) creando in questo modo un’armonia unica nel suo genere, raramente riscontrabile in altre opere realizzate da maestri del suo tempo, come Le Corbousier.

Quali sono stati gli edifici più difficili da fotografare?
MC – Palazzo Nervi-Scattolin a Venezia, per il divieto di fotografarne la parte bassa, usata per le operazioni bancarie della filiale di cui è sede; l'ex Lanificio Gatti, ora usato come deposito e quindi pieno di oggetti o di canaline per il passaggio dei cavi, in cui è stato particolarmente difficile creare inquadrature ampie dell'insieme della struttura.
MM – Quelli che sono gli edifici ancora in uso, come Palazzo Nervi-Scattolin a Venezia, l'ex Lanificio Gatti, lo stadio Artemio Franchi, il Teatro Augusteo di Napoli e così via. In questi edifici è stato molto difficile ricercare la sintesi formale tipica della progettualità di Nervi perché, come spesso accade, lo stato di degrado portato dal tempo, insieme alla mano dell'uomo, coi nuovi interventi di riqualificazione, manomettono l'originalità del progetto iniziale.

Cosa significa per voi fare fotografia di architettura?
MM – La fotografia nasce con l'intento di creare una memoria non singolare ma collettiva: in questo modo la fotografia di architettura si fa carico di essere una testimonianza indispensabile per le future generazioni. Il linguaggio personale di chi compie questo atto crea una visione oggettiva. Mi riferisco alla corrente tedesca della Neue Sachlichkeit, sulla quale ho impostato la linea guida per poter lavorare in modo seriale all'interno di questo lungo progetto, cercando una sintesi a livello di composizione formale e analizzando le forme per quello. Il mio è un tipo di visione prettamente oggettivo e reale del soggetto fotografato, il più possibile distaccato da quello che definiamo il punto di vista personale.
MC – La fotografia di architettura è uno strumento utile a creare un'identità culturale del patrimonio edilizio, poiché riporta un'immagine catturata nel reale testimoniandone l’esistenza. Attraverso un linguaggio personale, inoltre, è possibile anche trasmettere uno stato d'animo, quello soggettivo dell'osservatore dell'opera. Per me la fotografia di architettura ha dunque anche una forte matrice espressiva, non è solo documentazione oggettiva.

Vuoi informazioni sulla nostra consulenza e sui nostri servizi?

Naviga il sito e vedi tutti i contenuti di tuo interesse