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Ricordando Richard Avedon, icona e maestro indiscusso del ritratto fotografico in bianco e nero

30 settembre 2021

Marilyn, Chaplin, Capote, Bardot e Hepburn: ognuno di questi personaggi eterni dell’arte e della cultura contemporanee è stato il soggetto degli scatti iconici di Richard Avedon. Quindi quando pensate a questi divi e nella vostra mente vedete il loro volto catturato in un ritratto fotografico, è davvero probabile che quel ritratto sia firmato da Avedon.

Non tutti invece conoscono il suo sfaccettato affresco dell’America rurale a cavallo tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 (In the American West) o il suo lavoro di reportage durante la guerra del Vietnam. A 17 anni dalla scomparsa di Richard Avedon (1 ottobre 2004), scopriamo dunque cosa c’è oltre e dietro le fotografie dei famosi, ricordando uno dei fotografi più d’impatto del Novecento, per la sua capacità di catturare, attraverso i suoi celebri ritratti in bianco e nero, l’essenza dei suoi soggetti, impregnata per sempre nei suoi scatti senza tempo.

Una vita attraverso l’obiettivo

Richard Avedon nacque il 15 maggio 1923 a New York in una famiglia di origine ebraica benestante. Sua madre figlia di artigiani nel settore dell’abbigliamento; suo padre proprietario di un negozio nella 5th Avenue. Il giovane Richard manifestò subito una grande passione per la fotografia e all’età di 12 anni si iscrisse alla Young Men’s Hebrew Association Camera Club, un’associazione per giovani con la passione per la fotografia. Iniziò scattando foto agli abiti nel negozio del padre e alla sorella, che nei primi anni di attività fu la sua vera e propria musa ispiratrice.

Studiò presso la DeWitt Clinton High School di New York, dove strinse una forte amicizia con il futuro grande scrittore James Arthur Baldwin. Assieme diressero il giornalino scolastico. Si iscrisse alla Columbia University, ma si ritirò subito perché giudicava gli studi decisamente noiosi. Nel 1942 si arruolò nella Marina Militare, portando con sé la Rolleiflex regalatagli dal padre prima della partenza. Il suo destino era già chiaro: voleva fare il fotografo. L’inizio della carriera, però, non fu di certo indimenticabile: scattava fotografie per documenti d’identità, foto di autopsie e riconoscimento dei marinai caduti.

Tornato in patria nel 1944, si sposò con l’attrice e modella Dorcas Marie Nowell (nota come Doe Avedon) e, divenuto fotografo professionista, studiò alla New School for Social Research a New York. Pupillo del direttore della scuola, fu inserito nella redazione della rivista Harper’s Bazaar, dove resterà per circa vent’anni, arrivando a ricoprire la carica di chief photographer.

Gli anni degli scatti più famosi

Furono proprio di questi anni alcuni dei suoi scatti più famosi: Marilyn Monroe, i Beatles, Martin Luther King, Malcom X, oltre a persone comuni, scene di vita ed episodi particolari. Nel 1959 pubblicò il suo primo libro, Observations, contenente ritratti di personaggi famosi, con testi di Truman Capote. Nel 1963, fu la volta di Nothing Personal (sue fotografie con testo di James Baldwin), dopo aver visitato gli stati del sud. In questo suo ultimo lavoro emerse l’attenzione per i diritti civili, la presa di posizione politica ed etica, con tendenza a strutturare ogni lavoro come fosse una storia. Nello stesso anno, a Times Square, fotografò i suoi concittadini esporre le copie dei giornali che riportavano la notizia della morte del presidente Kennedy.

Nel 1966 passò alla rivista Vogue (per la quale lavorò per circa 25 anni), realizzando la maggior parte delle copertine. Nel corso degli anni ’70 e ’80 il suo impegno sociale – sempre portato avanti parallelamente al lavoro nel settore fashion – fu dedicato all’immortalare le vite dei “non visti”: dalle esistenze all’interno degli ospedali psichiatrici, alle realtà rurali dell’ovest americano. Quest’ultimo progetto, In the American West, immortalò per sempre i volti di operai e minatori nei loro abiti da lavoro, contadini, casalinghe, vagabondi. Nel 1989, fu tra i fotografi impegnati in prima linea a documentare la caduta del muro di Berlino.

81 anni, mentre stava realizzando un servizio fotografico in vista delle elezioni presidenziali americane per conto del “New Yorker“, Richard Avedon fu colpito da un ictus cerebrale e morì dopo due giorni. Era il 1° ottobre 2004.

L’attività fotografica di Avedon

Avedon era un artista eclettico e la sua attività fotografica era molto varia. Negli anni realizzò ritratti di personaggi famosi, immagini che immortalavano la gente comune, anche in situazioni quotidiane, eventi eccezionali e foto più vicine all’ambiente della moda. Non è un caso che sia stato definito un “intellettuale della fotografia”, per la costante riflessione sull’arte fotografica che ha sempre accompagnato la sua attività.

In particolar modo fu attento a sottolineare il ruolo primario dell’elaborazione nel mondo della fotografia, uno strumento che non rappresenta mai la “verità”. Le sue stesse fotografie sono un mirabile risultato di pensiero ed elaborazione e quasi mai si affidano al caso. Una delle sue foto più famose, “Dovima“, per esempio, ritrae una modella che indossa un abito da sera in una posa estremamente innaturale in mezzo a due elefanti: è stata scattata a Parigi nel 1955 e rappresenta esattamente il suo concetto di artificio.

Avedon è celebre per i suoi ritratti in bianco e nero. Aifotoweb (Associazione Italiana Foto e Digital Imaging) lo definisce “il fotografo dell’anima”, per la capacità di andare oltre l’aspetto delle persone all’interno dell’inquadratura. Attraverso l’immagine fisica della persona ritratta, scavava nel profondo, sempre alla ricerca di ciò che vi si nascondeva dentro. Il suo era lo stesso obiettivo che si ponevano i grandi pittori ritrattisti dei secoli passati. Avedon rappresentò inoltre uno dei fotografi di moda più importanti degli anni ‘50. Delle sue modelle tentava di cogliere sempre la personalità, alla ricerca dell’”anima” del soggetto.

Profuse un grande impegno per coniugare tradizione statica dello studio e movimento, per raccontare tanto i frammenti di vita glamour di modelli e personaggi dello spettacolo quando le esistenze comuni, comprese quelle di personaggi trovati negli angoli più bui e anonimi degli Stati Uniti. A questi ultimi regalò un momento di “celebrità”, mentre all’America fornì un’opportunità di confrontarsi con le parti meno in vista della società.

Alla sua morte, un necrologio pubblicato sul The New York Times recitava così: “La sua moda e i suoi ritratti e le fotografie hanno contribuito a definire l’immagine dello stile, della bellezza e della cultura dell’America per l’ultimo mezzo secolo”.

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