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Walter Bonatti, l’alpinista esploratore con la passione per la fotografia

18 novembre 2020
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Soprannominato "il Re delle Alpi", Walter Bonatti è considerato uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, oltre che un eccellente esploratore, fotografo e giornalista.

Nato nel 1930 a Bergamo e sportivo fin da giovanissimo, Bonatti si avvicina alla montagna e alle scalate sulle vicine Prealpi Lombarde a 18 anni, dopo aver a lungo osservato i più esperti arrampicarsi. Ci vuole appena un anno perché cominci a cimentarsi in imprese sempre più ambiziose e difficili, ai limiti dell’umano, dedicando loro ogni momento libero, mentre per mantenersi lavora come operaio siderurgico.

In breve tempo Bonatti realizza imprese sempre più eccezionali, prima sulle cime italiane, e poi in tutto il mondo. La prima, dopo svariati tentativi falliti a causa di tempeste feroci, la compie nell’estate del 1951, quando insieme a Luciano Ghigo apre una via sulla parete est del Grand Capucin (3838m) nelle Alpi Graie, dandole il suo nome. Una scalata che l’alpinista Gaston Rébuffat definirà “la più grande impresa su roccia realizzata fino ad oggi, un'impresa di cui l'alpinismo italiano può andare fiero.”

“[L’alpinismo] è un qualche cosa che ho in me e che mi porta lassù a esprimere un po’ me stesso,” raccontava Bonatti in un’intervista del 1970. “Posso dire che non è soltanto sport, non è soltanto un senso di romanticismo, di evasione, ma sono tutte queste cose messe insieme, che formano un equilibrio tale che appunto mi creano questa necessità, questo piacere nello scalare queste mie montagne,” spiegava. “Perché continua ad andare in montagna?”, gli chiedeva il giornalista. “Beh, me la pongo molte volte anche io questa domanda. Il fatto che non riesca a  star lontano dalla montagna vuol dire che è la mia vita.”

Dopo le scalate alpine, nel 1954, ad appena 24 anni, Bonatti partecipa alla spedizione italiana italiana sul K2, capitanata da Ardito Desio. Una spedizione la cui dinamica tormentata diventerà ufficialmente nota e riconosciuta solo molti anni dopo: dopo l’infelice esperienza, che mette la sopravvivenza di Bonatti a durissima prova, l’alpinista, deluso dal comportamento scorretto di alcuni compagni, si ripromette di dedicarsi in futuro soprattutto alle imprese in solitaria.

Come scrive ne “Le mie montagne”, pubblicato nel 1961, “Quello che riportai dal K2 fu soprattutto un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per i miei giovani anni.” L’anno successivo al K2, dopo sei giorni di arrampicata e una parete che sembrava impossibile da superare, Bonatti conquista proprio in solitaria la vetta del pilastro sud-ovest del Petit Dru sul Monte Bianco, segnando nella storia dell’alpinismo una tappa considerata indimenticabile.

Negli anni successivi continua l’aperture di nuove vie sulle cime alpine, le sfide in Patagonia, sulle Ande, sul Gasherbrum IV himalayano con la sua vetta alta quasi 8mila metri (7 925) raggiunta da Bonatti e compagni nel 1958 e dopo allora toccata per sole altre tre volte da altri scalatori, fino all’impresa sul Cervino del 1965: a febbraio, in una "prima”, impensabile, scalata in solitaria durante l'inverno, conquista la parete nord. Un’impresa che gli vale la Medaglia d'oro della Presidenza della Repubblica, dopo la quale Bonatti si ritira dall'alpinismo estremo per dedicarsi al giornalismo e alle esplorazioni in tutto il globo, armato di zaino, scarpe comode, la solita voglia di avventura, e l’immancabile macchina fotografica, che grazie a un ingegnoso sistema di autoscatto gli permette di documentare le sue imprese e di raccontarle, in immagini e parole, sul settimanale Epoca, con cui collaborerà fino al 1979.

Dalla discesa in solitaria in canoa dei fiumi tra Canada e Alaska, per 2500 km, alle pendici del Kilimangiaro e del Ruwenzori, dal Rio delle Amazzoni alle Ande, dalle isole Marchesi raccontate da Melville a Capo Horn, dai deserti australiani ai ghiacci dell’Antartide, sognati a lungo tempo e diventati uno dei suoi ultimi viaggi per Epoca. Quelle di Bonatti, di cui lui stesso è spesso protagonista, sono fotografie così suggestive e impressionanti da suscitare le obiezioni degli scettici dell'epoca; l’alpinista è così costretto a svelare al pubblico i segreti dei suoi autoscatti: semplicemente, porta con sé un cavalletto e le migliori tecnologie. Il resto, è talento.

Youmanist ha raccolto i migliori autoscatti di Walter Bonatti realizzati durante le sue spedizioni dal 1966 al 1972.

In copertina: Bonatti sulla vetta del Gasherbrum IV, fotografato da Carlo Mauri, fonte Wikipedia.

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