L’esercizio fisico non è uno strumento miracoloso che ci permette di raggiungere l’immortalità, ma è ormai certo che contribuisce a diminuire la probabilità di varie patologie, anche gravi: questa certezza è da tempo assodata e condivisa, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda tra i 150 e i 300 minuti di attività fisica aerobica moderata o tra i 75 e i 150 minuti di attività fisica intensa alla settimana. Uno studio pubblicato a gennaio sulla rivista scientifica Science Advanced contribuisce ora a far luce sulla correlazione tra l’esercizio fisico e non sono lo stare in forma, il mantenersi energici e di buon umore, ma anche l’essere in generale più sani.
Come è già noto da tempo – e dimostrato, tra gli altri, dai ricercatori della University of California - San Diego School of Medicine – alla base c’è la capacità dell’attività motoria di ridurre le infiammazioni, attraverso il miglioramento della risposta dell’organismo, che attiva il sistema nervoso simpatico, il quale aumenta le frequenze cardiaca e respiratoria e la pressione sanguigna. In questo modo il corpo rilascia ormoni come adrenalina e norepinefrina, in grado di attivare i recettori delle cellule immunitarie. In altre parole, l’esercizio fisico sul lungo periodo rafforza il sistema immunitario, aiutandolo a combattere le infiammazioni.
Questo avviene, più precisamente, grazie alla riduzione delle molecole pro-infiammatorie e delle citochine, molecole proteiche prodotte in risposta a stimoli che determinano la crescita, la differenziazione e la morte delle cellule. In realtà le infiammazioni, di per sé, sono una risposta dell’organismo nei confronti degli stimoli dannosi; da meccanismo di autodifesa e protezione che rappresenta il primo passo nel processo di guarigione del corpo, però, le infiammazioni – complici lesioni non trattate, stress cronico, alimentazione errata e disturbi autoimmuni – possono protrarsi nel tempo, anche per anni, diventando croniche. È allora che emergono i problemi, perché a lungo andare le infiammazioni possono causare, tra le altre cose, usura dei muscoli, difficoltà respiratorie, ictus e tumori. Ed è qui che, nell’ambito di uno stile di vita sano volto alla prevenzione delle malattie, l’esercizio fisico regolare può tenere sotto controllo le infiammazioni, evitandone gli effetti negativi sulla salute.
Ora Nenad Bursac, ingegnere biomedico della Duke University, in North Carolina, e il suo team di ricerca – i primi scienziati a produrre un muscolo scheletrico umano in contrazione funzionale in una piastra di Petri, quel vetrino che è forse lo strumento più essenziale delle ricerche di laboratorio, impiegato per far crescere le colture cellulari e per osservare le colonie batteriche – sono anche in grado di spiegare come regolari passeggiate a passo sostenuto, una nuotata settimanale o una sessione scatenata di zumba riescano a ridurre la presenza e la diffusione delle molecole pro-infiammatorie.
Lo studio di Bursac e colleghi si è basato sulle sperimentazioni condotte sul tessuto muscolare umano creato artificialmente e coltivato in laboratorio, in condizioni che, insieme alla struttura muscolare artificiale stessa, sono particolarmente utili ad esaminare il funzionamento dei muscoli e i loro effetti, compresi quelli sull’infiammazione, in un ambiente controllato. Gli scienziati hanno così potuto osservare che la forza e la struttura muscolare sono influenzate da una particolare citochina pro-infiammatoria (l’interferone-gamma), valutandone il comportamento e le condizioni con e senza attività muscolare, cioè – immaginando di tradurre l’esperimento dal laboratorio alla vita reale – con e senza l’attività motoria. L’hanno fatto bombardando il muscolo artificiale di citochina per una settimana, per raggiungere un risultato che mimasse gli effetti di un’infiammazione cronica di lunga durata. L’effetto è stato visibile: il tessuto muscolare si è ridotto e ha perso forza. Al contrario, per mimare l’effetto della molecola infiammatoria su un organismo ben allenato, l’esperimento è stato ripetuto dopo aver stimolato il tessuto con degli elettrodi. Questa volta il tessuto muscolare non si è ridotto e si è mantenuto forte.
Grazie all’impiego di farmaci usati per trattare l’artrite reumatoide, i ricercatori hanno anche scoperto quale specifica via molecolare infiammatoria l’esercizio simulato abbia inibito. La ricerca, quindi, non si conclude: le possibilità di approfondimento che si aprono sono molte; ad esempio, il team di Bursac cercherà ora di identificare nuovi bersagli anti-infiammatori per individuare anche una terapia farmacologica contro le infiammazioni croniche.
Al di fuori dei test di laboratorio, ancora non è certa la corrispondenza precisa con la vita reale: poiché lo studio è stato condotto su tessuto muscolare coltivato in laboratorio e non su soggetti umani, i risultati non indicano quanta sia l’attività fisica ottimale. Ma l’auspicio dei ricercatori è che il loro lavoro possa contribuire a convincere tutti dell’importanza di fare esercizio fisico regolarmente per mantenersi in salute e per prevenire tante patologie, anche gravi. E in futuro – chissà – forse sapranno individuare anche l’allenamento ottimale per beneficiare al massimo dei poteri antinfiammatori dell’attività fisica e farci avvicinare al sogno dell’eterna giovinezza, anche nel corpo oltre che nel cervello.
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