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Come il New York Times ha raggiunto oltre il 50% di donne tra i suoi dipendenti e scelto la “diversity”

29 giugno 2020
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Il  New York Times si è assunto ormai da tempo l'incarico di denunciare gli squilibri della nostra società, sempre con una correttezza e deontologia professionale che lo hanno reso tra i quotidiani più autorevoli e apprezzati al mondo. Da sempre il New York Times ha anche come obiettivo quello di diversificare il più possibile il suo staff per far sì che l'ambiente di lavoro rifletta la società che racconta. Pochi giorni fa sul sito del giornale è stato pubblicato un report sulla composizione del personale, con gli aggiornamenti sui traguardi che la company  ha raggiunto nell’ambito dell’inclusività di genere e nel combattere le discriminazioni razziali ed etniche.

Sostenitori dell’adagio del Mahatma Gandhi "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo", i vertici e i giornalisti del New York Times seguono una policy aziendale che sta dando innegabili frutti: il 51% del loro personale è composto da donne e, – dato che genera ancora più eco se si considera il differente trend mondiale – il 49% della leadership del giornale è femminile.  La formula vincente si basa su quattro semplici regole. La prima è "Garantire assunzioni giuste": al New York Times hanno capito che per assicurarsi collaboratori competenti bisogna avere un canale di recruitment che mostri sin da subito i valori in cui crede l'azienda. Per farlo serve elaborare requisiti che cambino per i candidati a seconda delle differenti mansioni e, soprattutto, eliminare i termini discriminatori dagli annunci di lavoro e nei form per la loro valutazione.

La seconda regola adottata dal New York Times è "Promuovere e incoraggiare le persone in modo equo": il riconoscimento del lavoro svolto, le promozioni e gli stipendi devono sottostare al principio dell'equità e della meritocrazia, per far sì che tutti abbiano le stesse possibilità di emergere e di essere gratificati sul lavoro. La terza direttiva è "Diversificare il nostro settore". Si tratta di una voce molto importante perché, per raggiungere l'obiettivo dichiarato, il New York Times ha deciso di investire ancora di più nei giovani, creando all'interno della sua Scuola di giornalismo programmi che aiutino il maggior numero di studenti a implementare le loro competenze con percorsi variegati e in continuo aggiornamento. Oggi, nel secondo anno di corso, l'80% dei partecipanti è donna.

La quarta e ultima regola adottata dal New York Times per abolire dai suoi uffici le discriminazioni razziali e di genere consiste nel "Promuovere un ambiente di lavoro inclusivo". Il primo modo per farlo è semplice: dando l'esempio. Il giornale si è impegnato ad assicurare una leadership che fosse rispettosa della gender diversity perché, come scrivono, "per creare una cultura inclusiva bisogna partire dall'alto". "La nostra attenzione alla diversità e all'inclusione è evidente anche nel giornalismo che facciamo", dichiarano i suoi responsabili all’interno del report, "nel quale ci impegniamo a dare resoconti ed editoriali incisivi e rivoluzionari su questioni come la razza e la schiavitù, racconti di vita, cultura e comunità, e altrettante ammissioni dei nostri fallimenti passati. La diversità del nostro personale rende il racconto più profondo, ricco e in grado di soddisfare le esigenze e le esperienze del nostro pubblico globale in crescita".

I movimenti di protesta che in questi mesi e in diverse parti del mondo pretendono che la politica si attivi per il rispetto dei diritti civili hanno attirato anche l’interesse di molte aziende, consapevoli delle  possibilità, in termini di rinnovamento della mission d'impresa, che queste istanze etiche e politiche rappresentano.

Il riverbero di questa nuova coscienza civile all'interno delle dinamiche aziendali può essere coniugato in modo positivo, e gli esempi da prendere a modello non mancano. L'editoria è, più di tanti altri ambiti, posta sotto la lente di ingrandimento dell'opinione pubblica, perché tra i compiti che spesso si assume c'è quello di denunciare gli episodi di ingiustizia ed esclusione che si verificano in tutti i settori della società civile.

Quello del New York Times è un modello da seguire anche per l’editoria italiana, per cui parlano chiaro i dati sulla diversità di genere: nel 2018 i ruoli apicali erano ricoperti solo nel 22,3% dei casi da donne. Al mondo non esistono più scuse per negare l’evidenza che la diversità sia ricchezza. Nelle prossime grandi sfide globali il mondo del lavoro si dividerà tra coloro che avranno colto il senso di questa lezione, anche imparando dagli errori passati, e coloro che non avranno voluto farlo, condannandosi a un ruolo sempre più marginale e ininfluente.

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