Letture
10 minuti
Letteratura
Letteratura

L’Aleph di Borges: la guida all’immaginazione di cui abbiamo bisogno

05 marzo 2021
autore:

Non capire più i testi dello scrittore argentino Jorge Louis Borges è la prova che stiamo perdendo l’immaginazione. Immersi nella società dell’incertezza, alla continua ricerca di un obiettivo per contrastare un futuro poco nitido, è importante concedersi una via di fuga e  Borges in questo può aiutarci.

Dai saggi ai romanzi, dalle poesie ai numerosi racconti, i soggetti e i luoghi descritti da Jorge Luis Borges sono i riflessi di ciò che la sua mente produce ma che i suoi occhi non vedono. Nella sua mente tutto si fonde secondo una ricostruzione a metà tra l’immaginario e il reale. Perfino la sua Buenos Aires ci viene presentata come una città frammentata di cui fatichiamo a comprendere l’assetto architettonico: sembra essere il frutto di una mescolanza di  tutti i posti del mondo e al contempo nessuno di questi. Ciò avviene grazie al processo creativo sviluppato dall’autore dove un passato vivido si intreccia con l’astrazione dovuta all’insorgere della completa cecità negli anni Sessanta.

Tra i primi segni di questa sperimentazione artistica troviamo l’Aleph, una raccolta di diciassette racconti, apparsi separatamente in precedenza su riviste argentine, pubblicata nel 1949 che analizza da vicino grandi temi dell’umanità, tanto cari allo scrittore: metafisica, morte e immortalità, i labirinti, lo sdoppiamento, il dolore, il destino e l’infinito. “Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili , le cisterne. La (mia) casa è grande come il mondo”. Lo stupore di Asterione nell’ammirare la sua stessa casa nel racconto omonimo è analogo a quello provato dal nuovo lettore di Borges che si trova ad avere a che fare con un testo in parte misterioso e che può confonderci.

In generale ognuno di noi aprendo un libro cerca sempre di ricostruire una storia, perché non può andare avanti senza capire soggetti, azioni o significati, come se si volesse ricostruire un puzzle. Questa relazione tra chi legge e chi scrive viene accennata da Umberto Eco in Opera aperta del 1962 e spiegata nel Lector in fabula del 1979: “Tra autore e lettore si stabilisce un gioco di attese reciproche dove ognuno cerca di indovinare e anticipare la strategia dell’altro”. Il problema è che quando crediamo di aver compreso il senso degli eventi, Borges inserisce sempre qualcosa che mette in dubbio ogni nostra supposizione. E come se non bastasse, oltre al fine ultimo dell’azione, procedendo nella lettura sono sempre meno chiare anche le coordinate geografiche e temporali.

Questo è il caso del primo racconto dell’Aleph, dove ci viene presentato un uomo  alla costante ricerca della “Città degli Immortali”. Il personaggio noto come il tribuno della plebe Marco Flaminio Rufo si incammina in una località prossima al Mar  Rosso e di fronte a lui si inscenano i più impensabili avvenimenti. A un certo punto smarriamo la strada e non si capisce più dove sia finito il protagonista, chi siano le persone e gli animali da lui incontrati lungo il tragitto, dove inizi e dove finisca questa città inarrivabile. Fino alla fine speriamo che si palesi un elemento chiarificatore o che l’intera faccenda si risolva con “era tutto un sogno”. Eppure attraverso un flusso di coscienza, le poche certezze che il lettore credeva di possedere all’inizio del testo si dileguano e chi legge inizia a interrogarsi persino su chi sia il vero protagonista della storia. È come se Borges d’un tratto si fosse risvegliato nei panni di un pittore surrealista, decidendo di proseguire il racconto in uno stato di costante dormiveglia.

Questo taglio netto con la realtà ci fa chiedere se il susseguirsi di queste azioni “assurde” altro non sia se non il frutto dei pensieri e desideri dei personaggi. Magari Marco Flaminio Rufo ha solo creduto e “sognato” di approdare nella “Città degli immortali”, senza poi averlo mai fatto davvero. Ecco che siamo intrappolati nel labirinto borgesiano, la cui unica via di uscita è smettere di arrovellarsi e godersi il viaggio.

“M’abituai a quel mondo incerto e ritenni incredibile che potesse esistere altro che sotterranei provvisti di nove porte e lunghi corridoi che si biforcano… ignoro il tempo che dovetti camminare”. Il tempo nell’Aleph è estremamente soggettivo, in ogni vicenda non ci è dato sapere se siano passati secoli, mesi, giorni o soltanto minuti da una determinata azione, forse perché non dovrebbe nemmeno interessarci. Tuttavia la costante ricerca umana di una ratio rappresenta un nostro chiodo fisso: uno Zahir. Questa parola nell’omonimo racconto presente nella raccolta, designa uno dei novantanove nomi di Dio e viene anche utilizzata dalla comunità musulmana per indicare: “Tutti gli esseri e le cose che hanno la terribile virtù d’essere indimenticabili la cui immagine finisce per rendere folli gli uomini”. Tra le diverse accezioni, Zahir in Argentina è il nome della comune moneta da venti centesimi ed è proprio qui che si annida l’estro geniale dello scrittore. L’analisi e la descrizione di questo oggetto comune diventa il pretesto per un lungo dialogo con se stessi, una autoriflessione, un flusso di coscienza infinito. La moneta diventa il pensiero ossessivo dell’autore che è il protagonista di questo racconto, da questo preciso momento lo Zahir è lo Zahir stesso: “forse finirò per logorare lo Zahir a forza di pensarlo e ripensarlo; forse dietro la moneta è Dio”.

Tra gli innumerevoli spunti proposti nei testi di Borges, tra culto e miscredenza, tra lunghi monologhi e brevissimi dialoghi, il tema della follia consiste probabilmente nell’unico grande filo narrativo. La paura di andare oltre i confini tracciati dalla società, l’inadeguatezza e il senso di colpa si aggirano di continuo nelle varie  storie, ma  vengono di volta in volta arginati grazie alla forza e alla determinatezza dei caratteri presentati nel libro. I personaggi dell’Aleph, infatti, seguono un preciso schema logico per il quale ci appaiono inizialmente passivi e annichiliti, a seguire dubbiosi sul da farsi e per finire, quando tutto sembra essere perduto, inaspettatamente pronti ad agire.

Questo il caso del racconto Aleph che ha dato il nome alla raccolta omonima,  avente come protagonista di nuovo lo stesso Borges che, il 30 aprile del 1929, viene informato della morte della sua amata Beatriz Viterbo. “Il fatto mi addolorò, perché compresi che l’incessante e vasto universo cominciava già ad allontanarsi da lei e che quel mutamento era il primo d’una serie infinita.” Al suo capezzale egli incontra il cugino della donna, Carlos Argentino Daneri, e inizia da questo momento a sedimentarsi nel lettore una certa curiosità su questa figura comparsa quasi per caso. Quello che era iniziato come un monologo interiore finalizzato alla contemplazione di Beatriz Viterbo, si trasforma rapidamente in una analisi del signor Daneri che, nel 1934, durante il memoriale della morte della giovane, racconterà a Borges della presenza di un luogo pieno di fascino nascosto nei sotterranei di casa sua. Inizialmente scettico, l’autore decide di andare a vedere con i suoi occhi questo posto magico, ed ecco che finalmente veniamo a conoscenza del misterioso significato della parola aleph, descritta come: “un punto dello spazio che contiene ogni punto al suo interno”. In quel preciso luogo Borges scorge “il giorno e la notte di quel giorno, la stanza da letto vuota, i sopravvissuti a una battaglia in atto di mandare cartoline…”.

Evitare di cercare un senso a volte è proprio la chiave della nostra serenità, la smania di avere tutto sotto controllo e la tendenza all’autocritica prende il sopravvento sul benessere mentale, soprattutto in momenti come questo. Oggi le nostre azioni sono sempre più contraddistinte da un senso di grande incertezza, persino gli spazi familiari cambiano i connotati proprio come nella casa-labirinto di Asterione: un giorno è possibile uscire di casa, quello dopo è severamente vietato.

Se è vero che “la verità non penetra in un intelletto ribelle e tutti i luoghi della terra si trovano nell’Aleph, tutti i lumi, tutte le lampade, tutte le sorgenti di luce”, allora proprio come i personaggi borgesiani risucchiati nel vortice dei suoi racconti abbiamo bisogno di trovare una porzione di spazio e tempo in cui spegnere la luce, non farci domande e abbandonare le  catene della nostra ratio, a favore di una personale riscoperta dell’immaginazione.

Articolo di Ilaria Ferretti

Vuoi informazioni sulla nostra consulenza e sui nostri servizi?

Naviga il sito e vedi tutti i contenuti di tuo interesse