Letture
10 minuti
Letteratura
Letteratura

Calvino ci insegna che la leggerezza può salvarci

01 marzo 2021
autore:

Italo Calvino, attraverso i suoi racconti, ci ha sempre insegnato a vivere il grigiore della vita con levità. Cifra espressiva della sua opera e talismano da portare con sé nella vita di tutti i giorni è proprio la leggerezza, le cui virtù sono chiarite in Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio.

Italo Calvino scrittore “non nasce già fatto”. All’inizio sono tre le passioni che animano il giovane sanremese: i fumetti, il teatro e il cinema. Coltivate quando non è impegnato negli studi in Agraria, che porta avanti nonostante il desiderio di dedicarsi alla scrittura. Da questo tormentato dilemma sulla via giusta da prendere lo salveranno due cose: la guerra e la casa editrice Einaudi. Il suo è stato un impegno lungo una vita: da quello giovanile con la Resistenza, al mondo frantumato degli anni Ottanta seguito agli anni di Piombo, dall’impegno letterario del dopoguerra alla sperimentazione. Un impegno che si riflette anche in quello con la scrittura, come emerge dai tanti testi e lettere elaborati durante l’esperienza come redattore editoriale. “Accade talvolta che il libro più significativo – commenta Eugenio Scalfari, in un articolo del 1988 per Repubblica – d’uno scrittore sia l’ultimo e addirittura postumo, poiché soltanto in esso egli raggiunge il culmine dell’opera sua, la pienezza dei suoi mezzi espressivi”.

Infatti, il 6 giugno del 1984, Calvino fu invitato dall’Università di Harvard a tenere le Charles Eliot Norton Poetry Lectures, lezioni prestigiose che negli anni precedenti erano state tenute da personaggi come T.S. Eliot, Igor Stravinsky, Jorge Luis Borges, Northrop Frye, Octavio Paz. Per la prima volta venivano affidate a uno scrittore italiano. Calvino, “uomo metodico e preciso”, fece una lista delle cose da dire: elenco di argomenti che costituivano per lui “i valori o qualità o specificità della letteratura”, frutto di letture e riflessioni di un’intera vita. Il ciclo di sei conferenze, andato in scena tra il 1985 e il 1986, non vide però la sua partecipazione, a causa della sua improvvisa scomparsa.

La prima edizione stampata di Lezioni Americane uscì postuma, nel maggio del 1988. La scelta del titolo fu di Esther Calvino, che trovò il dattiloscritto sulla scrivania del marito, “in perfetto ordine e il tutto raccolto in una cartella rigida, pronto per essere messo nella valigia” e volare negli Stati Uniti. Calvino lo aveva lasciato con il titolo inglese Six memos for the next Millennium. Esther confessò: “Se mi sono decisa finalmente per Lezioni Americane è perché in quest’ultima estate di Calvino, Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: Come vanno le lezioni americane? E di lezioni americane si parlava”. L’analisi di Calvino non offre solo risposte dal punto di vista letterario, ma anche sulla realtà circostante, e Lezioni Americane resta ancora oggi un libro organico che spiega tutta la produzione dell’autore, come un testamento a disposizione di chiunque senta la necessità di mettere ordine nella complessità del presente. I ‘memos’ da tramandare ai posteri sono per Calvino queste sei “regole: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Consistenza, ciascuna trattata in relazione al proprio opposto. Calvino, mediante il  corollario di figure trattate, non vuole consegnare al lettore una semplice risposta al mondo, bensì una serie di percorsi filosofici e letterari da percorrere.

La prima conferenza è dedicata alla Leggerezza e al suo contrario. Servendosi di alcuni riferimenti letterari di diverse epoche – Ovidio, Lucrezio, Cavalcanti, Leopardi, Shakespeare, Kafka – Calvino chiarisce perché costituisca un valore e non un difetto, sia per l’uomo moderno che per lo scrittore. Calvino parte da se stesso, dall'imperativo categorico imposto a ogni scrittore del Novecento: il dovere di rappresentare la realtà. La sua operazione, dice lo scrittore, è stata il più delle volte un alleggerimento, una sottrazione di peso (in termini di temi, strutture narrative, linguaggio). Per leggerezza intende quindi la qualità di ciò che è leggero, non faciloneria o volubilità. Piuttosto una leggerezza che si sposa con levità e che diviene “un antidoto alla pietrificazione del mondo e alla sua opacizzazione”, chiarisce in Lezioni Americane.

Negli anni Ottanta, Calvino si era presto misurato con la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo. Qualità lontane dall’agilità affilata che cercava di imprimere alla propria scrittura. Basti leggere la premessa a Una pietra sopra, raccolta di saggi letterari pubblicata nel 1980 in cui descrive la società come collasso, frana, cancrena, aggravate da una politica e un mondo dei media che hanno perso ogni forma riconoscibile. Avverte la sensazione che il mondo sia pietra, come se nessuno riuscisse a sfuggire allo sguardo di Medusa. Chi è che nel mito di Ovidio nelle Metamorfosi sconfigge Medusa? Perseo – che si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole – riesce a uccidere e decapitare il mostro perché non la guarda direttamente negli occhi, ma la aggredisce attraverso uno specchio che impedisce la pietrificazione dell’eroe. Nel prosieguo del mito dal sangue della Gorgone nasce Pegaso, il cavallo alato. L’autore ci dimostra che la pesantezza del mondo può essere sconfitta dal suo contrario, ossia un’immagine indiretta, uno specchio in questo caso. In questa lezione comprendiamo che il peso (visione diretta) schiaccerebbe Perseo, mentre il valore opposto, la leggerezza, lo salva.

L’eroe vola leggero perché annulla il corpo e così facendo lo sottrae alla precarietà dell’esistenza, cioè alla morte. Per Calvino proprio la leggerezza nasce dal peso, così come Pegaso, il cavallo alato di Perseo, nasce dal sangue di Medusa. Se non ci fosse il peso, non ci sarebbe leggerezza; se non ci fosse la costrizione, non ci sarebbe il volo. Medusa è il mostro incombente, la morsa di pietra che aleggia dietro a ogni ricerca di forma. Calvino propone perciò la strada della visione indiretta. Il rifiuto di guardare negli occhi Medusa è per alcuni versi un’eco dell’avvertimento di non annegare ne Il mare dell’oggettività, saggio in cui lo scrittore ligure critica il totale abbandono all’oggettività delle cose, tipico della società industriale e tecnologica. A farne le spese è l’io, sommerso da una marea di oggetti che lo spersonalizzano.

Nella sua trattazione, leggerezza e peso si congiungono e si contrappongono come due facce della stessa medaglia: questo binomio può essere associato al linguaggio, che diventa così un elemento senza peso che aleggia sopra le cose come una nube e la cui creazione spetta al poeta attraverso le tecniche a sua disposizione. Lo scrittore era solito servirsi della cosiddetta tecnica del ridurre, che per una maggiore compattezza espressiva ricorreva alle semplificazioni, così da avere una pagina concreta, pulita, leggera.

Calvino sentiva lo sfilacciarsi e disintegrarsi della stessa visibilità del mondo, il cui aspetto si frantuma e si perde in una molteplicità di situazioni e di rapporti, in cui non sembra possibile individuare nessun ordine. Nonostante la perdita degli ideali giovanili, ribadisce ancora una volta la fiducia nella letteratura, capace di tramandare una leggerezza mai priva di pensosità e di porsi obiettivi a priori dal loro effettivo raggiungimento. Calvino ha bisogno di guardare la realtà in modo distaccato per poterla osservare e capire meglio. Assume perciò un atteggiamento di difesa rappresentato dalla leggerezza di pensiero – intesa come reazione al peso di vivere –, che permette di “non avere macigni sul cuore”. Non ci insegna a fuggire dalla pesantezza né a rifugiarci nel sogno o nell’irrazionale. Ci invita invece a cambiare il nostro approccio, ad affrontare l’esistenza con un’altra ottica, logica, e metodi di conoscenza e verifica.

Calvino, riprendendo le parole di Paul Válery, consiglia di non essere leggeri come la piuma – che cade al suolo per una legge di gravità che non dipende da lei –, ma come l’uccello che riesce a sfruttare le correnti d’aria, vagando nei cieli seguendo la sua volontà e decidendo come muoversi. Il mondo va dunque affrontato con un approccio leggiadro distaccato, ma mai privo di concentrazione, non con volubilità, ma con il diverso concetto di levità. Il vivere è pesante, è noia, è dubbio, ricerca, acquisizione di verità, messa in discussione, ed è la leggerezza a mitigare tutto questo. Però la leggerezza, la fantasia, l’immaginazione non tardano a infrangersi contro lo scoglio della ragione, ed è inevitabile tornare all’ineluttabile fatica del vivere. Milan Kundera, in L’insostenibile leggerezza dell’essere, dimostra che tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso. Del resto, è il nostro stesso io a cercarla attraverso gli obiettivi che si pone e la fatica che richiede il portarli a termine. Il percorso di vita è un circolo di cui fanno parte tanto la pesantezza quanto l’insostenibile leggerezza. Ricordarcelo e saperlo accettare è una delle più grandi eredità che ci ha lasciato Calvino quasi 40 anni fa.

Articolo di Anais Di Stefano

Vuoi informazioni sulla nostra consulenza e sui nostri servizi?

Naviga il sito e vedi tutti i contenuti di tuo interesse