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Camminare e raccontare: W.G. Sebald e la sua letteratura dalle mille, inattese deviazioni

20 ottobre 2021

Le pagine di W.G. Sebald, autore tedesco tra i più importanti del ‘900 e più volte vicino al Nobel, posseggono quello che è senza dubbio uno dei poteri della grande letteratura: la capacità di sospendere il tempo.

Non c’è uomo che almeno per una volta nella vita non abbia desiderato agire e pensare in una condizione di tempo sospeso. Essere vivo ed energico nel pieno della propria volontà di potenza, e osservare tutto ciò che abbiamo intorno senza che l’orologio giri, ecco il desiderio ineffabile.

Sebald rielabora in chiave visionaria e colta la figura del flâneur, celebre invenzione di Charles Baudelaire, che battezzò così il gentiluomo che passeggia libero e ispirato per le vie cittadine senza curarsi degli impegni e aborrendo l’idea stessa della fretta, in modo da potersi abbandonare al paesaggio e alle sue sorprese, e godere del plateau di emozioni che il mondo è in grado di generare.

Una prosa che guida tra spazio e tempo

Sebald tuttavia va ben oltre la città, e la sua narrazione del mondo si spinge nella stratosfera, dove l’emozione va a braccetto con la conoscenza e lo sguardo osservatore si evolve in esplorazione, generando la scoperta di mondi magici che possono essere evocati da dettagli all’apparenza insignificanti.

Gli anelli di Saturno (Adelphi, 2010) è forse l’opera che meglio di tutte trascina il lettore nella poetica sebaldiana: si tratta di un viaggio a piedi compiuto nel 1992 nella contea di Suffolk, in quella parte d’Inghilterra verdeggiante che da Londra volge verso le coste del nordest. Ogni itinerario, nelle pagine del flâneur, diventa un trampolino di lancio verso lo scibile umano: verso la fascinazione segreta della storia naturale, nei risvolti della vita inimitabile di navigatori in cerca di fortuna, o ancora verso l’immensità geografica e culturale della Cina.

Non c’è limite alla potenza narrativa di Sebald e alla sua vocazione all’erudizione. Per esempio, basta la visione di un ponte in ferro che collega le due rive del fiume Blyth, da cui sarebbe dovuta partire una consegna di carrozze per treni destinate all’impero cinese, per catapultarci nella corte dell’imperatrice vedova Cixi, che nell’ultimo quarto del diciannovesimo secolo riuscì a mantenersi al potere – lei donna in trasgressione con le tradizioni confuciane – grazie a una forza di volontà e una ferocia indicibili, che culminarono nella decisione, in piena siccità e durante una carestia che lasciò senza vita circa venti milioni di persone, di assicurare verdura fresca ai suoi personalissimi bachi da seta, che più degli uomini  – a suo dire – le sarebbero rimasti fedeli. “Fra tutti gli esseri viventi” – scrive Sebald – “era solo per questi prodigiosi insetti che ella provava una profonda inclinazione”.

I percorsi di senso che sanno sempre sorprendere

Gli esempi di questa straordinaria accumulazione di percorsi casuali, di capogiri storici, di peregrinazioni inattese che riescono nel miracolo di moltiplicare la nostra esistenza e renderla potenzialmente ubiqua almeno nello spazio della lettura, sono infiniti nell’opera di Sebald.

Se ne Gli anelli di Saturno o nello splendido Storia naturale della distruzione (Adelphi, 2004) ogni linea narrativa prova a tessere trame fittissime nello spazio che intercorre tra potenziale umano di creazione e distruzione, tra ossessione per la bellezza e ossessione per le macerie, in Austerlitz (Adelphi, 2002), l’incontro con l’incredibile personaggio di Jacques Austerlitz, professore di storia dell’architettura che vive a Londra e che un giorno decide di mettersi alla ricerca delle proprie origini, con Sebald diventa una straordinaria occasione di addentrarsi nei labirinti sorprendenti della storia europea.

Di colpo, sono le forme architettoniche, gli stili che si avvicendano durante i lustri, o i saloni magniloquenti dei grandi palazzi nobiliari a fare da rampa di lancio per brillanti vagabondaggi letterari. La stazione di Anversa, la cui cupola è ispirata al Pantheon di Roma, può così divenire simbolo del desiderio umano di celebrare la nuova divinità del tempo moderno: quell’orologio immenso, verso cui tutti i viaggiatori debbono rivolgersi per regolare la propria dimensione spazio temporale.

Gli assoluti umani come fil rouge dello stile

Ma tutto questo, potremmo chiederci, ci riguarda? Perché dovrebbe interessarci? Facile. Perché Sebald indaga linee narrative in grado di far vibrare gli assoluti umani. Ha senso impegnarsi a creare cose che saranno destinate a deperire? Quanto ogni nuova opera umana ambisce a cancellare le vecchie? Spazio e tempo sono sempre coordinabili come noi ci aspettiamo, o ci sfuggono come dimostra la vicenda unica del forte della stessa città belga, la cui cinta muraria – immensa per rendere il forte inespugnabile – fu completata quando la tecnologia degli armamenti aveva già creato cannoni in grado di superare ogni distanza difensiva?

È per questo lavoro votato all’abisso che Pietro Citati, tra i più importanti critici italiani del secondo Novecento, su Il Corriere della Sera ha descritto l’opera di Sebald con queste parole: “Nessuno aveva il suo dono fondamentale: trasformare la vocazione metafisica in scienza e la scienza in vocazione metafisica”. E nessuno, verrebbe da aggiungere, al tempo stesso è riuscito a trasformare un’attività statica come la lettura, in tambureggianti viaggi interspaziali.

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