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Come una canzone diventa un inno universale: la lunga storia di Hallelujah

18 settembre 2018

Oggi Hallelujah è nell'olimpo dei classici, una canzone di cui esistono più di 300 versioni diverse realizzate dagli artisti più vari. Il viaggio per arrivare a questo livello è stato però lungo e accidentato, e ha rischiato di non cominciare del tutto. La storia pubblica di Hallelujah ha avuto inizio nel 1984, quando l'autore Leonard Cohen l'ha registrata per il suo album Various Positions. Per arrivare alla stesura definitiva il perfezionista Cohen aveva impiegato due anni, scegliendo le quattro strofe meglio riuscite fra le ottanta che aveva scritto.

Il cantautore canadese si trovava in un passaggio complicato della sua carriera: grazie agli album pubblicati fra il 1967 e il 1979 si era guadagnato la stima di molti colleghi (che hanno spesso ripreso le sue canzoni) e un buon seguito di pubblico, anche senza far registrare grandi numeri di vendite. All'inizio degli anni Ottanta, il mercato discografico stava cambiando, cominciava l'epoca del videoclip e molti protagonisti dei decenni precedenti stentavano a tenere il passo. Cohen era rimasto in disparte per qualche anno e gli serviva un disco di successo per rimettere in moto la sua carriera. Lui e il suo produttore John Lissauer confidavano nelle possibilità di Various Positions, e soprattutto nel potenziale di Hallelujah. Peccato che questa convinzione non fosse condivisa dal discografico di Cohen, Walter Yetnikoff, presidente della CBS/Columbia, personaggio pittoresco ed eccessivo nonché uno dei pesi massimi della discografia mondiale del periodo.

Yetnikoff pensava che Hallelujah non aveva niente a che vedere con la musica pop e che l'album fosse un disastro senza alcuna possibilità di successo. Quindi non l'avrebbe pubblicato negli Stati Uniti, concedendo la liberatoria dei diritti a Cohen per cederlo a un'altra etichetta. Col senno di poi, un enorme errore di valutazione, ma nel 1984 Yetnikoff viaggiava a tutta velocità sull'onda di Thriller di Michael Jackson, per due anni consecutivi campione di vendite sul mercato statunitense. Il pubblico premiava canzoni ritmate e riccamente arrangiate, mentre Cohen e Lissauer avevano tutt'altro fra le mani.

Hallelujah era più vicina a un inno religioso che a una canzone pop, con un ritornello che faceva esplicito riferimento al gospel e un testo che citava personaggi ed episodi biblici. Qualunque cosa fosse, proprio non somigliava a Billie Jean. Sfumate le ambizioni di gloria da classifica, almeno negli Stati Uniti, Cohen non ha perso fiducia in Hallelujah: l'ha inserita nel repertorio del suo tour del 1985 e ha continuato a cantarla in pubblico negli anni successivi, modificandone il testo. Lentamente, la canzone ha cominciato ad attirare attenzione. Non quella del grande pubblico, ma di colleghi illustri: Bob Dylan l'ha reinterpretata in concerto e John Cale ne ha inciso una sua versione per l'album del 1991 I'm Your Fan, una compilation-tributo a Cohen promossa dalla rivista francese Les Inrockuptibles.

Per la sua rilettura, Cale aveva scelto le strofe dall'interminabile testo inviatogli da Cohen via fax (quindici pagine, secondo il ricordo di Cale). Questa nuova versione si è guadagnata diverse critiche positive sulla stampa specializzata, soprattutto, ha entusiasmato un ragazzo sconosciuto di nome Jeff Buckley che cantava in piccoli locali di New York accompagnandosi con la chitarra elettrica. Jeff era il figlio di Tim, cantautore scomparso nel 1975, nonché - curiosa coincidenza - vecchio amico di Cohen. Come il padre (che peraltro ha incontrato solo una volta in vita sua), Jeff aveva una voce fuori dal comune e sapeva come usare registri vocali diversi. Nelle sue mani Hallelujah è diventata una canzone diversa, più malinconica e sensuale: Buckley aveva colto soprattutto i risvolti erotici del testo di Cohen, tanto da descrivere la canzone come «un alleluja all'orgasmo, un'ode alla vita e all'amore».

Questa era destinata a diventare la sua versione più familiare al grande pubblico, ma non nell'immediato. L'album su cui è stata pubblicata, Grace, è del 1994, e inizialmente ha fatto registrare vendite modeste. Buckley aveva incantato il pubblico più attento ma gli serviva tempo per arrivare alle grandi platee. Purtroppo, non ne ha avuto: è morto nel 1997, annegato durante una nuotata notturna nel Mississippi. Il suo ricordo si è cristallizzato nell'idea romantica del grande artista scomparso troppo presto, e la sua musica ha continuato a suscitare interesse. Mentre cresceva il suo piccolo mito, Hallelujah veniva adottata dal cinema e dalla televisione. L'apripista è stata ancora la versione di Cale, utilizzata nel 2001 in Shrek, ma negli anni successivi quella di Buckley è diventata una presenza ricorrente nelle colonne sonore di molti film e serie televisive.

Attraverso questa strada, finalmente Hallelujah è arrivata a una larghissima popolarità, e le versioni incise da cantanti usciti dai talent show hanno portato il pezzo nei posti alti delle classifiche di vendita, propiziando pure il rilancio della versione di Buckley.

Da parte sua, Leonard Cohen ha osservato l'imprevedibile ascesa della sua creatura con soddisfazione contenuta e divertita, sorprendendosi che questo destino fosse toccato proprio a una canzone che in un primo momento era stata bocciata dal suo discografico. Non si è mai lamentato del fatto che il suo testo è stato probabilmente compreso solo in parte o addirittura trascurato, visto che il pubblico sembra aver risposto soprattutto all'intensità emotiva della voce di Buckley. Ha però spiegato che nella sua canzone “alleluja”, la parola ebraica che esorta a pregare Dio, è intesa in un significato più largo: «C'è l'alleluja religioso, ma ce ne sono molti altri. Volevo indicare che l'alleluja può nascere da cose che non hanno niente a che fare con la religione».

Di fatto, il testo è aperto a varie interpretazioni possibili, e questo è uno dei motivi che ne hanno fatto un passepartout emotivo per cinema e tv: «Hallelujah può essere gioiosa o agrodolce, a seconda di quale parte si sceglie di usare», ha spiegato nel 2004 Kathy Coleman della Sony/ATV, che gestisce i diritti editoriali della versione di Buckley. In generale, è stata usata soprattutto per evocare uno stato d'animo malinconico con una frequenza che ha ormai raggiunto il limite della saturazione. Lo stesso Cohen nel 2009 aveva dichiarato che erano ormai in troppi a cantarla, salvo poi rivedere il giudizio tre anni dopo: «Una o due volte ho pensato di intervenire per fermarne la diffusione, ma ripensandoci sono molto felice che venga cantata».

D'altra parte, la canzone ormai ha valicato i limiti del mondo dello spettacolo. Alan Light, che ha scritto un libro sull'argomento (The Holy or the Broken: Leonard Cohen, Jeff Buckley, and the Unlikely Ascent of Hallelujah), ha osservato che negli Stati Uniti Hallelujah viene cantata ai matrimoni, ai funerali, durante funzioni religiose ebraiche e cristiane: ormai è parte di un immaginario condiviso da moltissime persone, e probabilmente continuerà a esserlo ancora per parecchio tempo.

Il suo creatore ha lasciato le sue spoglie mortali nel 2016, a 82 anni, poco dopo aver ultimato un album, You Want It Darker, all'altezza della sua considerevole reputazione. Per ora, il suo brano più popolare non è riuscito a risvegliare la curiosità di un pubblico più largo per la sua discografia, ma la storia di Hallelujah insegna che non bisogna avere fretta: non sempre le canzoni viaggiano alla velocità delle classifiche, ma in qualche modo riescono ad arrivare a destinazione.

Paolo Giovanazzi

In Cover, Leonard Cohen. Via Pagina Facebook @monterreyrock

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