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B.B. King, dai campi di cotone alla gloria eterna

10 agosto 2018

«Cos'è il blues? La vita. Quella che viviamo oggi, quella che abbiamo vissuto in passato e, credo, quella che vivremo in futuro». Può sembrare un'affermazione astratta o esagerata, invece è ragionevole e credibilissima in bocca all'uomo che l'ha pronunciata: Riley B. King, meglio noto col nome d'arte di B.B. King. Di fatto, è il blues ad avergli aperto una via di fuga da un'esistenza cominciata in condizioni difficili.

Nato nel 1925 da una coppia che campa a stento in una piantagione di cotone vicino a Itta Bena, Mississippi, Riley impara a cavarsela da solo molto presto. I genitori si separano quando lui ha sei anni, la madre muore quando ne ha dieci e quattro anni dopo scompare anche la nonna che lo ha allevato. L'unica prospettiva possibile sembra essere il lavoro alla piantagione e fino al 1946 Riley si guadagna da vivere così. Oltre al lavoro nei campi c'è la musica: canta gospel in chiesa e suona la chitarra, che ha imparato a suonare da bambino grazie al Reverendo Archie Fair.

La strada per Memphis, capitale del Blues

A Indianola, dove si trasferisce nel 1943, Riley suona per strada e comincia a capire quale sarebbe stata la sua direzione: «La gente mi faceva i complimenti per i brani gospel, ma mi lasciava la mancia quando facevo blues». Per tentare una carriera da musicista, Riley si sposta a Memphis, in Tennessee, a 21 anni, seguendo per qualche mese il cugino Bukka White, rispettato cantante e chitarrista blues. Non succede nulla, e Riley torna per qualche mese nel Mississippi, ma ha imparato abbastanza per ritentare la fortuna a Memphis. Riesce a convincere Sonny Boy Williamson a farlo suonare nel suo show radiofonico alla stazione WKEM, e si procura  i primi ingaggi. Nel 1948 Riley comincia a lavorare come dj e cantante alla WDIA. Diventa piuttosto popolare con il soprannome di Beale Street Blues Boy, poi abbreviato in Blues Boy e infine in B.B., che lo accompagna per il resto della sua vita. Ascoltando T-Bone Walker, si convince a procurarsi una chitarra elettrica. King ama molti chitarristi blues e jazz, ma non imita nessuno in particolare. Non perché non ci provi, ma perché non ottiene risultati soddisfacenti: «Non sono mai riuscito a suonare come qualcun altro. Non ho orecchio e ho delle dita stupide, suppongo».

Il maestro del vibrato: la farfalla di King

Da vero bluesman, King si considera prima di tutto un cantante e uno storyteller, e usa la chitarra come una sorta di seconda voce solista. Non suona accordi, quindi non la usa per accompagnare il canto, e non esegue passaggi veloci, ma sa costruire fraseggi efficaci con poche note: «Per me, una bella nota al posto giusto riesce a dire quello che altri dicono usando molte note». Soprattutto, King è un maestro della tecnica del vibrato, con un movimento che lui chiama “butterfly”, farfalla. Ruotando il polso con piccoli movimenti veloci, King muove l'indice della mano sinistra in modo da variare la tensione della corda. Tenendo le altre dita aperte, il movimento della mano somiglia a quello “di una farfalla che sbatte le ali”. La tecnica è diventata patrimonio comune di generazioni di  chitarristi, che venerano King per il suo tocco inconfondibile. Nel documentario sulla sua vita The Life Of Riley, c'è una sequenza in cui una schiera di musicisti usa la stessa espressione per parlare del suo stile: «Basta una nota per riconoscerlo».

Una vita on the road nel sud razzista degli anni Cinquanta

La carriera discografica di B.B. King comincia nel 1949 e decolla un paio d'anni più tardi, con il buon successo della sua versione di Three O' Clock Blues di Lowell Fulsom. Per tutti gli anni Cinquanta, King è un frequentatore abituale delle classifiche R&B americane, e i successi discografici gli permettono di mantenere un'intensa attività concertistica. King ama curare gli arrangiamenti, e suona con una formazione numerosa, mantenendo ritmi di lavoro forsennati (nel 1956 si esibisce in 342 concerti).

La vita on the road non è semplice: gli ingaggi sono limitati al circuito dei locali destinati agli afroamericani, spesso non ci sono alberghi disposti a ospitare i musicisti e il rischio di aggressioni razziste è tutt'altro che remoto. Ma King è concentrato sul suo lavoro, e i risultati gli danno ragione, anche se la sua popolarità resta confinata al pubblico afroamericano, almeno fino agli anni Sessanta. Nel 1964, il contratto discografico con la ABC/Paramount gli apre nuove possibilità, e lui onora subito l'impegno con l'album Live At The Regal, uno dei suoi lavori migliori e un classico del blues.

La consacrazione: B.B. King diventa il Re

Inoltre, negli anni successivi si afferma una generazione di ragazzini inglesi cresciuta ascoltando dischi blues, e porta il genere all'attenzione di un nuovo pubblico, giovane e di pelle bianca. Per gente come i Rolling Stones ed Eric Clapton, B.B. King è un maestro assoluto, e verso la fine degli anni Sessanta raccoglie i frutti di questa stima con pezzi di successo come Pay The Cost To Be The Boss e The Thrill Is Gone. Arrivano i primi concerti in Europa, e nel 1968 un tour americano con i Rolling Stones consolida la sua fama presso il pubblico rock. King è ben contento di avere una nuova platea a cui rivolgersi e non ha problemi a collaborare con i musicisti rock che lo ammirano, un abitudine che mantiene per il resto della sua carriera. Il meglio della sua produzione discografica è concentrato fra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, ma anche nei decenni successivi King ha saputo piazzare colpi da maestro come Blues 'n' Jazz, vincitore del Grammy come miglior album blues del 1983 o Riding With The King del 2000, album firmato in coppia con Eric Clapton.

King, un punto di riferimento per i chitarristi di domani

La vicenda terrena di King si è chiusa il 14 maggio 2015, ma la sua leggenda resta viva. L'immagine di B.B. a occhi chiusi che suona la sua Gibson 335 soprannominata Lucille resta una delle icone massime della storia del blues, e qualsiasi chitarrista intenda avvicinarsi al genere deve fare i conti con lui. Chi ha avuto modo di conoscerlo da vicino, ne ricorda soprattutto l'umanità e la generosità, soprattutto nei confronti del musicisti più giovani. Un esempio è Joe Bonamassa, star della chitarra blues contemporanea, che King ha chiamato per aprire i concerti di un tour del 1989. Bonamassa aveva 12 anni e ha ricordato l'esperienza così: «Mi ha dato un palco, mi ha permesso di suonare al suo pubblico, e parte del suo pubblico è diventato il mio. Non avrei mai potuto ripagare il debito di gratitudine che ho nei confronti di quest'uomo che mi ha dato questa opportunità. La sua umiltà, i suoi consigli e la sua generosità sul palco e fuori sono evidenti della sua musica, e per questo è così amato».

In Cover, B.B. King durante una performance. Via Pagina Facebook @moellermusic

Paolo Giovanazzi

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