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Il motivo del successo di Ludovico Einaudi

13 giugno 2019
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Era il 2015 quando veniva pubblicato Elements. Dopo ben quattro anni ecco un altro tassello della produzione di Ludovico Einaudi, ovvero Seven Days Walking. Pubblicato lo scorso marzo, è stato l’album di musica “classica” più ascoltato nel minor tempo: in sole ventiquattr’ore, il quattordicesimo album in studio di Einaudi ha raggiunto oltre i due milioni di stream, secondo quanto emerge da un comunicato rilasciato dalla sua casa discografica, la Decca. Un record che testimonia l’enorme successo che la musica del compositore e pianista italiano riscontra non solo in Italia, ma anche, e forse soprattutto, all’estero. Un successo che dilaga fra un pubblico variopinto nelle preferenze musicali e che trova anche il consenso degli addetti ai lavori. Tutto questo fa di Ludovico Einaudi il più grande artista “classico” dei giorni nostri.

Ludovico Einaudi nasce a Torino nel 1955. È figlio dell’editore Giulio Einaudi, nonché nipote del Presidente della Repubblica, l’economista e politico Luigi Einaudi. Dopo il diploma conseguito al Conservatorio milanese “G. Verdi”, dà il via ad una fase primordiale della sua carriera, che continua ancora oggi a lasciare echi importanti. Infatti, negli anni Ottanta, ha come maestro Luciano Berio, uno dei più importanti compositori del Novecento. Lo stesso Einaudi riconosce la grandezza del suo mentore: dall’incontro con Berio, il giovane compositore fa sua l’idea di una musica eclettica, pronta ad aprirsi ad altri generi e ad altre manifestazioni d’arte, come la poesia e il teatro. Non è un caso che le prime esperienze di Einaudi siano caratterizzate da composizioni destinate al teatro, alla danza e al cinema. Anzi, da queste esperienze riconosce di aver appreso qualcosa che nelle aule di un conservatorio non può essere insegnato: ammette infatti che scrivere per il teatro, per la danza e per il cinema lo ha messo nelle condizioni di dover utilizzare gli insegnamenti tecnici appresi in anni di studio per poterli rendere funzionali alla comunicazione di pensieri e immagini tipiche delle arti visive.

Guadagnata visibilità grazie alle colonne sonore per il cinema firmate negli anni Novanta, nello stesso periodo inizia anche a pubblicare i primi album realizzati in studio, il vero fulcro della sua popolarità. Il primo di questi progetti che si impone, nel 1996, all’attenzione del grande pubblico è Le Onde, il cui titolo riprende quello di un noto romanzo della scrittrice inglese Virginia Woolf. A seguire, nel 2001 viene pubblicato I giorni, un ciclo di ballate ispirate da un viaggio in Mali, dove ritorna due anni dopo, per poi pubblicare Diario Mali. Nel 2003 si esibisce al Teatro alla Scala e nel 2004 realizza Una mattina, un altro ciclo di ballate che conquista subito i primi posti delle classifiche radiofoniche britanniche. La popolarità maturata si consolida nel 2006, anno in cui viene pubblicato Divenire. La spina dorsale di questo progetto è rappresentata da tre composizioni, eseguite con l’ausilio di un’orchestra di archi, ovvero Svanire, Primavera e Divenire, ispirate da tre quadri di Segantini. L’undicesimo album del compositore, Nightbook, esce nel 2009. Si tratta di un progetto in cui emergono tratti di sperimentalità che caratterizzeranno la sua futura produzione, oltre che melodie più introspettive. Negli anni successivi vedranno la luce opere come In a Time Lapse, Elements e Seven Days Walking, progetti ambizioni in cui appare l’evidente e costante desiderio del compositore di indagare nuove frontiere della musica alla ricerca di nuove funzioni espressive.

Proprio una tendenziale apertura verso ciò che esula dal mondo della musica classica rappresenta una caratteristica fondamentale delle opere di Einaudi, il che rende la sua produzione difficilmente inquadrabile. Sono innumerevoli gli sforzi che nel corso degli anni sono stati compiuti per catalogare la musica di Einaudi in un genere musicale ben definito. Solitamente si utilizza l’espressione “musica classica” per indicare compositori come Einaudi. In realtà sul senso di questa etichetta non vi è molta sintonia, perché da un lato viene usata come sinonimo di “musica colta”, abbracciando anche l’età contemporanea, mentre dall’altro lato qualcuno preferisce attribuirle un significato più restrittivo, indicando la sua epoca d’oro, quella che va dal Seicento all’Ottocento. In effetti, usare l’espressione “musica classica” per compositori contemporanei potrebbe considerarsi un errore dovuto all’assimilazione in cui spesso si incorre fra la stessa e la “musica atonale”.  Chi suggerisce un senso più circoscritto da usare per l’espressione “musica classica”, identifica poi i compositori moderni come autori di “musica contemporanea”.

Nonostante ciò, l’inquadramento che più di ogni altro viene attribuito a Einaudi è quello di “compositore minimalista”. Il minimalismo è una corrente che si sviluppa a metà del Novecento con un marcato intento di scostamento dalla “musica colta”. Compositori come Riley, Reich, La Monte Young, ed altri, si insinuano in quel distacco fisiologico fra il pubblico di massa e la musica più elevata, negando ogni espediente tecnico e ogni virtuosismo in nome della ricerca di suoni originali e sperimentali. Spesso la musica minimalista, proprio per queste ragioni, si colora di sfumature auto-ironiche e sarcastiche, quasi paradossali e al limite del concetto stesso di musica.

Da quanto detto si comprende facilmente come sia palese la difficoltà di catalogare la musica prodotta da Ludovico Einaudi. Alla sempre più frequente etichettatura come compositore minimalista, lo stesso Einaudi ha fornito una risposta molto chiara. Secondo il suo punto di vista, usare l’espressione “minimalismo” per compositori come lui sarebbe un errore di anacronismo: quel termine appartiene ad un’esperienza ormai passata. Non nega di essere influenzato dalla musica minimalista, ma ritiene che ciò non sia sufficiente per definirlo come un suo esponente.

Il problema dell’inquadramento di Einaudi in una precisa corrente musicale potrebbe essere risolto molto più semplicemente riconoscendo nelle sue opere una marcata originalità, a tal punto da poter parlare di “musica einaudiana”, senza alcun intento di classificazione. E la ragione per cui la sua produzione può essere considerata autentica e non inquadrabile risiede nelle sue fisiologiche caratteristiche, dovute alle personali esperienze a cui il compositore si è dedicato nel corso degli anni. In primis, ciò che emerge dalle sue opere è un’intrinseca facilità di fruizione. Il vero motivo per cui la musica colta si è imposta come un genere elitario è la difficoltà a essere apprezzata da un pubblico di massa. Einaudi rompe questo muro, rendendo le sue composizioni facilmente valutabili e udibili. Inoltre, una maggiore fruibilità delle sue composizioni si manifesta anche sull’altro fronte, e cioè quello di chi esegue musica: si tratta di brani che non necessitano di grandi doti tecniche, e come tali sono in grado di essere eseguite anche da chi coltiva la musica atonale senza aver dedicato anni di studio in un conservatorio.

Una seconda peculiarità della musica einaudiana è direttamente collegata alla prima. Si tratta della sua semplicità, aspetto che accomuna parzialmente Einaudi al minimalismo. Il rischio che si cela dietro questa scelta stilistica è evidente: cadere nella semplicità intesa come limitazione ed imperfezione. Nel linguaggio einaudiano invece semplicità è sinonimo di esclusione di rigidi e sterili formalismi, e in questo caso l’assenza di artifici musicali pomposi si dimostra un pregio. Ma le intenzioni di Einaudi non sono quelle minimaliste di polemico distacco dalla tradizione, e ciò porta il primo a rinunciare a quegli espedienti tecnici che non siano funzionali alle sensazioni che di volta in volta intende trasmettere. La tecnica diventa per il compositore piemontese un mezzo da utilizzare con parsimonia al fine di comunicare emozioni all’uditore. Qui si può comprendere a pieno l’importanza delle esperienze coltivate nell’ambito della composizione per teatro, danza e cinema.

Tutto questo non sarebbe sufficiente a giustificare un successo musicale duraturo nel tempo. Infatti, per spiegare ciò si può considerare un ulteriore aspetto della musica einaudiana, ovvero la sperimentazione. Lo stesso Einaudi ammette come questo sia l’insegnamento più importante del suo maestro, Luciano Berio. Ogni contatto con il mondo non-einaudiano porta la sua musica ad arricchirsi di un qualcosa di nuovo che rende la sua produzione sempre innovativa, ma saldamente ancorata ad una cifra stilistica più che riconoscibile. Evidenti segni di tutto ciò sono Diario Mali, nato da una collaborazione con Ballakè Sissoko, cantante e musicista maliano, e Taranta Project, album in cui vengono rivisitate melodie appartenenti al culto popolare della taranta salentina.

Alla base di questo successo vi è quindi una filosofia che da anni ottiene un forte riscontro: la sua presenza sul palco, accanto a esponenti pop e rock, non stona. Anzi, elimina ogni distanza che apparentemente potrebbe manifestarsi fra la musica tonale e quella atonale. Tralasciando ogni tentativo di classificazione, la sua musica si è imposta in quanto tale all’udito di quello stesso pubblico che ascolta altri generi musicali, spesso con connotati prettamente commerciali. Il suo tocco percettibile ed il suo timbro sono riconoscibili, e fanno delle sue opere un qualcosa di “unico”, che spesso rasenta la banalità, che appare però ipnotizzante, ed ammaliante. Il vero merito e, forse, il reale motivo del successo popolare di Ludovico Einaudi sta proprio nel suo aver abbattuto le distanze che spesso si creano fra la musica colta e il grande pubblico, quasi fosse una rivoluzione, una presa di distanza dalla tradizione austera. Se mai si potesse parlare di “pop star” nel mondo della musica atonale (o classica), non vi dovrebbero essere dubbi sulla sua identificazione nel genio di Ludovico Einaudi.

Articolo di Davide Carrozzo

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