Le prospettive per i mercati finanziari sono notevolmente cambiate dopo l’elezione di Donald Trump a Novembre. Di seguito approfondiamo le ragioni di questi cambiamenti, i potenziali impatti sull'economia globale e le strategie che l'Europa e le altre economie potrebbero adottare in risposta a queste sfide.
C'è stato un notevole cambiamento nel sentiment, soprattutto in relazione a quanto inizialmente scontato dal mercato. Per gli Stati Uniti, l'aspettativa era un'attuazione immediata di politiche pro-crescita. Stiamo invece assistendo all’avvio delle parti dell'agenda Trump meno favorevoli alla crescita, vale a dire i dazi, che sono essenzialmente tasse. Il processo è in corso ed ulteriori misure sono attese. Inoltre, stiamo assistendo a tagli alla spesa federale e riduzioni dei dipendenti federali, cosa che, in effetti, era prevedibile fin dall'inizio, ma che tuttavia ha preso molti di sorpresa. L’implementazione di queste politiche ha comportato anche ad un forte aumento dell'incertezza, che è estremamente dannoso per l'attività economica. Ci sono segnali di un marcato rallentamento delle vendite al dettaglio e della produzione manifatturiera, nonché di significativo deterioramento in diversi indicatori di fiducia. Nonostante ciò, l'economia statunitense rimane robusta. Partiva da una posizione di forza, che le ha permesso di rallentare pur mantenendosi solida. Il mercato del lavoro rimane molto forte, con un tasso di disoccupazione ai minimi storici, appena al di sopra del 4%. La direzione intrapresa però è preoccupante, e potrebbe peggiorare ulteriormente, a seconda dell'evoluzione della guerra commerciale nelle prossime settimane.
La questione se l'Europa possa raggiungere l'autonomia in materia di difesa nel medio termine è cruciale. Attualmente l'Europa non ha i mezzi per farlo. Tuttavia, Donald Trump non ha annunciato un immediato ritiro dalla NATO. La questione è più sulle tempistiche. Realisticamente, l'Europa si dà circa cinque anni per raggiungere un maggior livello di autonomia. Ciò richiede una spesa immediata, motivo per cui la recente decisione tedesca è incoraggiante. A livello europeo, e in collaborazione con il Regno Unito, che è vitale per la difesa del continente, si stanno prendendo decisioni per ridurre i vincoli fiscali e aumentare la spesa per la difesa. Vi sono aspetti tecnologici e di capacità produttiva da considerare, oltre a quelli finanziari. L'Europa ha fatto affidamento sull'ombrello di sicurezza degli Stati Uniti dalla Seconda guerra mondiale, e non può rendersi autonoma in poche settimane. Tuttavia riteniamo che con il tempo ciò accadrà. L'Europa percepisce una minaccia esistenziale ed è determinata a fare tutto il necessario per raggiungere questo livello di autonomia.
È essenziale distinguere tra tattiche di negoziazione ed una situazione teoricamente ottimale. Come economisti, sappiamo che tariffe più basse sono preferibili. Pertanto, dovremmo sforzarci di evitare qualsiasi spirale di escalation. Tuttavia, negoziare con Donald Trump richiede un approccio diverso. Risponde meglio alla forza che alla debolezza. In questo contesto, la posizione assunta finora dall'UE è appropriata. L'UE ha dichiarato di non volere dazi, considerandoli una tassa sui consumatori e sulle imprese. Tuttavia, se gli Stati Uniti impongono dazi, l’UE reagirà. Questo approccio è rischioso ma necessario. La Commissione europea è perfettamente consapevole della necessità di ridurre al minimo l'autolesionismo. È importante sottolineare come il commercio con gli Stati Uniti non sia il principale motore di crescita per l'Europa, poiché rappresenta meno del 10% degli scambi commerciali totali. Il principale partner commerciale dell'UE è l’UE stessa. Pertanto, l'aumento degli scambi all'interno del mercato unico può facilmente compensare un calo degli scambi con gli Stati Uniti. L'Europa ha registrato un significativo avanzo delle partite correnti per decenni, trainato da un modello di crescita orientato alle esportazioni. Con l’aumento degli investimenti nelle infrastrutture e nella difesa da parte dell’Europa, ci aspettiamo che tale avanzo diminuisca, spostandosi verso un modello di crescita più orientato al mercato interno. La Cina ha ambizioni simili, anche se ci sono motivi per essere scettici sulla velocità di questa transizione. Se gli Stati Uniti riusciranno a ridurre il proprio deficit commerciale e rimarranno i consumatori di ultima istanza, costringeranno il resto del mondo ad adottare un modello di crescita più orientato al mercato interno. Questo scenario non è necessariamente ribassista per l'Europa, dato il suo alto tasso di risparmio, che lascia spazio a un aumento della spesa dei consumatori nel caso in cui dovesse tornare la fiducia.
La Banca centrale europea (BCE) e la Federal Reserve (Fed) sono in posizioni molto diverse. La BCE è alle prese con un'economia che opera al di sotto del suo pieno potenziale e con una tendenza al ribasso dell'inflazione in tutte le sue componenti, compresi i servizi. I dati recenti sono stati incoraggianti, consentendo alla BCE di continuare a ridurre i tassi verso la neutralità, stimata intorno al 2%. La BCE ha margine per tagliare ulteriormente i tassi, con ulteriori tagli previsti nel prossimo trimestre. La banca centrale deve affrontare da un lato lo shock negativo della politica commerciale statunitense e le potenziali ritorsioni, dall’altro l'impatto positivo dello stimolo fiscale tedesco e dell'aumento della spesa per la difesa. Nel complesso, la BCE può essere fiduciosa di riportare l'inflazione al 2%, anche allentando ulteriormente la politica monetaria. La Fed, d'altro canto, deve far fronte ad un aumento dell'inflazione e ad un dis-ancoraggio delle aspettative di inflazione tra le famiglie. Le misure di mercato delle aspettative di inflazione rimangono stabili, ma la Fed deve considerare il potenziale impatto sui prezzi dei dazi. Il contesto economico è cambiato in modo significativo rispetto alla prima amministrazione Trump, rendendo improbabile che la Fed tagli i tassi quest'anno, a meno che i danni economici derivanti dall’attuazione delle nuove politiche non conducano ad una recessione e ad un deterioramento del mercato del lavoro. Attualmente negli Stati Uniti stiamo assistendo a dinamiche stagflazionistiche, in questo contesto le possibilità della Fed di tagliare i tassi sono limitate.
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