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Il lusso etico e sostenibile di Carmina Campus: intervista a Ilaria Venturini Fendi

25 novembre 2019
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Quante forme può assumere la ricerca del bello? Quante volte e in quanti modi si può manifestare il desiderio di fare del bene? Stando alla storia di Ilaria Venturini Fendi, imprenditrice e creativa romana, la risposta è semplice: tutte le volte che si può, tutte le volte che se ne sente il bisogno.

Terza e ultima figlia di Anna Fendi, celebre stilista che con le quattro sorelle ha dato vita all’omonimo marchio di moda, Ilaria ha lavorato a lungo nell’azienda di famiglia come Shoe Designer per Fendi e come Direttrice Creativa Accessori della seconda linea Fendissime. In quegli anni Ilaria ha scoperto il concetto di eccellenza, l’importanza dell’artigianalità, il valore del lusso; e ha appreso le regole e le strategie per far sì che un’azienda di successo sia sempre capace di rimanere fedele a se stessa. Questo però non era abbastanza per Ilaria, troppo attenta ai cambiamenti del mondo attorno a sé, alla crisi economica che intanto stava investendo il Paese, all’ambiente depauperato in ogni sua forma e risorsa. Così ha deciso di lasciare l’azienda di famiglia per dedicarsi a un progetto in quel momento più nelle sue corde: l’acquisto di un’azienda agricola alle porte di Roma e la sua riconversione all’agricoltura biologica, nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio circostante.

Ed è proprio dall’incontro delle sue esperienze, dal coniugarsi delle passioni, delle scoperte e di quelle tematiche che le stanno più a cuore che nel 2006 Ilaria dà vita a Carmina Campus, marchio di moda sostenibile che trasforma gli scarti in borse, accessori e arredi di lusso. Dalle rimanenze di magazzino ai campionari, dai fondi delle lattine ai ritagli dell’industria dell’abbigliamento, dai residui di lavorazione delle suole in gomma Vibram ai prodotti difettati: affidati a mani esperte di artigiani qualificati, gli scarti recuperati da Carmina Campus si trasformano in pezzi letteralmente unici, belli, ben fatti e la cui storia è raccontata tutta nel cartellino.

Carmina Campus però non è solo un brand di moda che ha fatto dell’amore per l’ambiente la sua cifra di stile, ma è un progetto di recupero e rispetto sociale a 360° che considera il lavoro come un’opportunità di riscatto. Promotore di iniziative etiche e di sostegno a realtà svantaggiate, Ilaria Venturini Fendi e il suo Carmina Campus hanno preso parte a progetti come “Not Charity Just Work”, che ha messo a disposizione di alcune comunità rurali africane le competenze del marchio nel settore artigianale e imprenditoriale; o “Made in Prison”, la collaborazione tra il brand romano, il Ministero della Giustizia e le cooperative Socially MadeinItaly che operano nelle carceri italiane con programmi di riabilitazione sociale tramite il lavoro.

Insignita di numerosi riconoscimenti, come il Fashion4Development Award 2011 e l’Excellence in Ethical Business 2012, e co-fondatrice di The Circle Italia, ramificazione italiana del network di donne che sostiene i diritti e i progetti delle donne, Ilaria Venturini Fendi è ad oggi una delle figure più influenti nel mondo dell’imprenditoria etica e sostenibile del panorama italiano. Con lei abbiamo parlato dei suoi progetti, delle sue esperienze e della filosofia che sta dietro Carmina Campus, le sue scelte professionali e il suo amore per la creatività.

Come nasce Carmina Campus e perché proprio questo nome?

Carmina Campus nasce qualche tempo dopo aver iniziato la mia attività di imprenditrice agricola biologica, a cui mi sono dedicata dopo aver lavorato a lungo come designer nell'azienda di famiglia. Anche dopo che l’azienda è stata ceduta a un gruppo straniero del lusso, ho mantenuto il ruolo di Direttore Creativo Accessori di Fendissime, la linea giovane, e di Shoe Designer Fendi: un'esperienza a cui devo il mio know-how, senza il quale non avrei potuto fare un lavoro che ho amato moltissimo. A un certo punto però mi sembrava che questo lavoro non avesse più un senso, per i ritmi sempre più accelerati delle collezioni e l'idea che il mondo stesse cambiando intorno a noi mentre la moda seguiva delle logiche tutte sue che non tenevano conto della crisi ambientale e sociale già allora evidente. Ho sentito il bisogno di cambiare e ritrovare il contatto con la natura che grazie a mio padre avevo avuto nell'infanzia ma che poi avevo smarrito. Avendo avuto la fortuna di trovare alle porte di Roma un'azienda agricola di cui mi sono subito innamorata, ho preso la decisione di lasciare la mia attività di designer, acquistare l’azienda agricola “I Casali del Pino” e iniziare un percorso totalmente diverso.

Da imprenditrice agricola ho intrapreso subito la strada del biologico e mi sono occupata anche del restauro conservativo dei casali all’interno dell’azienda. Per diverso tempo tutto questo mi ha completamente assorbita, facendomi credere che la moda fosse un mondo a cui non appartenevo più. Poi ho cominciato a sentire nostalgia per il lavoro creativo e ho pensato di iniziare un progetto tutto mio che non fosse però in conflitto con i principi per me ormai irrinunciabili del rispetto per l'ambiente e per la natura. Anzi, la prima fonte di ispirazione per questo progetto è stata proprio “I Casali del Pino”, la mia azienda, che mi ha fatto capire quanto sia importante preservare ciò che abbiamo per le generazioni future. Avere una coscienza e una consapevolezza ambientale è ormai un presupposto imprescindibile per tutti, qualunque sia la propria attività. Io ho voluto provare a mettere in atto questo presupposto anche nella moda, tornando a fare borse e accessori come una volta e con la medesima cura per il design e la manifattura italiana, ma utilizzando materiali dismessi, campionari, ritagli, scarti. Non a caso ho chiamato il mio brand Carmina Campus, un nome con assonanza latina che richiama i luoghi dell'azienda agricola immersa in un'area archeologica protetta e l'idea stessa del campo, anche nel suo significato di campus come luogo di incontro.

Cosa ha portato con sé di queste esperienze nel Suo marchio? 

Il know-how nel design è una cosa che ho costruito sin dall'infanzia, quando ho cominciato a passare molto tempo nell'atelier di mia madre, ed è un bagaglio di esperienze che mi ha permesso di creare un marchio così diverso come è Carmina Campus. L'azienda agricola è l'ambiente da cui traggo continuamente ispirazione e forza e che mi convince sempre più che la ricerca della sostenibilità sia l'unica strada percorribile. Non a caso la sede di Carmina Campus è situata in uno degli edifici all'interno dei Casali del Pino.

Come nascono le collezioni e dove trova l’ispirazione?

Contrariamente a quello che avveniva prima sono i materiali a suggerirmi temi o modelli per una borsa o un oggetto. Una volta lavoravo prima sull'idea e poi cercavo come realizzarla, oggi è l'inverso. All’inizio ho utilizzato soprattutto il vintage, poi ho cominciato a cercare giacenze di magazzino, campionari, difettati non buoni per il loro scopo originale ma ottimi per diventare parte di una borsa. Poi sono arrivata a collaborare con diverse aziende per trovare un utilizzo creativo ai loro scarti industriali.

Carmina Campus coniuga la bellezza estetica e l’alta qualità al rispetto per l’ambiente: è difficile mantenere questi standard? Quali sono per Lei i principi imprescindibili nel Suo lavoro?  

Vengo da un mondo che mi ha insegnato l'eccellenza e quindi non riuscirei, anche volendo, a puntare a standard bassi. Certo, è ovvio che lavorare con materie prime preziose non è la stessa cosa che utilizzare scarti, il risultato è sicuramente diverso, ma non per questo meno valido. Per me ha grande importanza la cura con cui i materiali più poveri vengono lavorati e l'unicità e originalità del pezzo finito. Questo richiede sicuramente mani esperte, molto impegno e ricerca. I nostri pezzi possono essere equiparati molto spesso a dei prototipi.

Con il Suo marchio, ha dato vita a un progetto in Africa per creare opportunità di lavoro per una comunità di donne svantaggiate. In cosa consisteva il progetto? E cosa ha rappresentato per Lei?

È stata un'esperienza molto impegnativa ma che mi ha regalato grandi soddisfazioni. Ho potuto vedere con i miei stessi occhi quanto procurare un lavoro sia determinante non solo per restituire dignità alle persone ma anche per creare un vero e proprio tessuto sociale che dal singolo si espande alla famiglia e poi alla comunità. Ho visto donne che vivevano nelle discariche uscire da quella situazione e riuscire a procurarsi una casa. Ho anche capito però che in Africa non ci si può improvvisare e che anzi a volte, per quanto si abbiano buone intenzioni, si può addirittura fare dei danni. Abbiamo dovuto affrontare grandi problemi quando ho cominciato da sola in Camerun, perché nessuno poteva seguire il progetto quando non ero presente sul posto. Per questo motivo è stata determinante la collaborazione con l’International Trade Centre, un'agenzia delle Nazione Unite, che mi ha permesso di spostare il progetto in Kenya, dove insieme abbiamo sviluppato un hub per la formazione di microimprenditori indipendenti. Carmina Campus contribuiva con il suo design e il know-how di alcuni suoi artigiani oltre che con la commercializzazione del prodotto; l'ITC si occupava della produzione e della cooperazione, seguendo il programma sul posto. Ho lasciato il progetto quando ho visto che ormai aveva basi solide per continuare.

Ha mai riscontrato un pregiudizio nel mondo della moda nei confronti del Suo progetto? Se sì, cosa l’ha spinta ad andare avanti e inseguire il Suo sogno?

Sì, sicuramente all'inizio è stato difficile far capire che un prodotto realizzato con materiali di riuso non è necessariamente un oggetto “cheap”, anche perché quando ho cominciato non esisteva niente di simile a ciò che stavo facendo. In questo senso mi sento orgogliosa di essere stata una specie di pioniera. Oggi si fanno anche i green carpet per la sostenibilità, ma fino a poco tempo fa la moda era poco interessata a certi argomenti. È un atteggiamento che mi ha sempre meravigliato perché una volta era proprio la moda ad anticipare i trend.

Cosa rappresenta per Lei la sostenibilità e perché è così importante?

Ormai è uno stile di vita ma soprattutto una necessità. Confesso di essere pessimista. L'avvento dell' Antropocene ci dice che ormai l'era geologica dell'uomo ha causato dei cambiamenti irreversibili al pianeta di cui non siamo in grado di valutare appieno le conseguenze e questo mi crea molta ansia per i miei figli e le generazioni future. Però devo dire che la mobilitazione generale che vedo oggi nei ragazzi sta finalmente smuovendo qualcosa e spero che questo possa accelerare un'inversione di tendenza prima che sia troppo tardi.

Quali sono i progetti futuri di Ilaria Venturini Fendi e di Carmina Campus?

Dopo aver tanto lavorato su progetti impegnativi e a lungo termine, in questo momento in cui non si fa altro che parlare di ambiente, sento il bisogno di concentrarmi ancora di più sulla terra e approfondire il suo legame con la creatività. Le mie energie sono dedicate a progetti come FloraCult, la mostra di piante, fiori e mondo green che organizzo da più di dieci anni nella mia azienda agricola. È un evento in cui il design eco ha un ruolo sempre più importante, che mi permette di unificare la mia ricerca di sostenibilità nell'agricoltura a quella nel design. Per ciò che riguarda Carmina Campus, pur non avendo mai ambito a salvare il mondo con il mio piccolo brand di moda, da quando ho cominciato nel 2006 ho fatto tante cose e ho accumulato esperienze che sento di poter mettere a disposizione anche di altre aziende. Per questo oggi mi piace costruire progetti di design collaborando con le industrie, anche non appartenenti al settore moda, per il riuso creativo dei loro scarti. Credo molto nel valore della collaborazione e condivisione delle idee, perché solo con uno sforzo comune si potrà sperare di trovare soluzioni ai problemi ambientali e penso con la mia esperienza di essere utile a chi cerca di mettere in pratica progetti veri, che non siano dettati solo da ragioni di marketing.

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