I miti antichi sono costellati di vicende che narrano storie di dei, eroi e avvenimenti favolosi, come le Metamorfosi di Ovidio. Tra gli episodi raccontati dal poeta latino spicca per fascino e bellezza poetica l’episodio di Apollo e Dafne - che artisti del calibro del Bernini, del Pollaiolo e del Tiepolo riproposero secoli dopo - nel quale la giovane ninfa si trasforma in alloro per sfuggire alle attenzioni del dio.
Ciò che spesso emerge da questi miti è l’incredibile umanità degli abitanti dell’Olimpo, imperfetti e soggetti alle emozioni terrene. Come la vendetta, che diede vita al frenetico inseguimento tra Apollo e Dafne.
Osservando Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini, sembra impensabile attribuire una scena tanto magnifica a un desiderio di vendetta, ma proprio così ebbe inizio il sentimento che spinse il dio del Sole a inseguire la ninfa.
L’evento viene raccontato con una straordinaria forza evocativa nel Libro I delle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone, poeta latino vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. In quest’opera - databile attorno all’8 d.C e considerata uno dei capolavori della letteratura antica - Ovidio racconta storie di dei e di uomini, focalizzandosi sul fenomeno della metamorfosi.
Dietro all'intreccio di corpi rappresentato dalla scultura - conservata a Roma presso la Galleria Borghese - c’è il volere di un dio apparentemente innocuo, ma capriccioso e permaloso: Cupido.
Infastidito da Apollo - che si stava vantando di aver ucciso il serpente Pitone con il proprio arco - Cupido scelse di punirlo con due dardi dall'effetto opposto. Su di lui utilizzò una freccia appuntita e dorata, capace di suscitare amore, mentre rivolse un dardo spuntato di piombo contro la ninfa Dafne, provocando in lei l’impulso di fuggire le attenzioni del dio del Sole.
Ninfa di Diana votata alla castità, Dafne non avrebbe potuto rifiutare le attenzioni indesiderate di Apollo in nessun modo, se non accogliendo un cambiamento estremo. Fuggì fino ad arrivare alle rive del fiume Peneo, suo padre. Ormai in trappola, a lui rivolse il desiderio estremo di perdere la propria forma umana.
La vendetta di Cupido si consumò così, mentre le morbide fattezze di fanciulla di Dafne si trasformavano nella corteccia, nei rami e nelle foglie di una pianta d’alloro.
Di fronte all'amata perduta, Apollo la onorò utilizzando le fronde per ornare il proprio capo, la faretra e la cetra, e da quel momento l’alloro divenne simbolo dei condottieri e dei vincitori.
Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) impiegò tre anni per realizzare la scultura che ritrae l’episodio mitologico di Apollo e Dafne, datata 1622-1625 e commissionata dal cardinale Scipione Caffarelli-Borghese. Tre anni per raggiungere un risultato eccezionale e un equilibrio compositivo che fanno di questa statua una delle più apprezzate dagli appassionati d’arte.
Sotto le mani dell’artista, il mito di Apollo e Dafne sembra prendere vita, mentre dio e ninfa vengono colti nell'istante esatto della trasformazione. Apollo sta per afferrare in corsa Dafne, che gli sfugge tendendo il busto in avanti e le mani verso l’alto. Il dinamismo dei due corpi è evidente proprio nei dettagli, che sottolineano lo sforzo muscolare e la contrapposizione tra la passionalità del dio del Sole e la paura di lei, che vede la propria forma umana svanire di fronte all'avanzare della metamorfosi in alloro.
Nonostante l’intensità emotiva e la tensione verso l’alto della statua, l’opera presenta un notevole equilibrio, sfidando la gravità senza mai perdere la propria armonia.
Nell'atto estremo della fuga, le mani, i piedi e i capelli di Dafne diventano albero con un realismo compositivo che lascia senza parole. Il marmo bianco sembra perdere la propria tipica rigidità per accogliere la fluidità del movimento - soprattutto nei particolari della chioma e delle vesti dei personaggi - mentre anche la superficie levigata muta il proprio aspetto per trasformarsi in corteccia e foglie.
Grazie a Bernini, il mito di Apollo e Dafne raccontato dalle Metamorfosi di Ovidio ebbe nuova vita. La statua riscosse un successo tale che la scena fu ripresa da molti artisti successivi, che la rielaborarono secondo la propria sensibilità.
Tra questi è degno di menzione Giambattista Tiepolo (1696-1770), che tra il 1743 e il 1744 realizzò un olio su tela con lo stesso soggetto, oggi conservato al museo del Louvre a Parigi.
All'eleganza marmorea dell’opera del Bernini, il Tiepolo preferì per il suo Apollo e Dafne l’utilizzo di colori accesi, in un contrasto tra toni freddi e caldi. Una leggera nota cromatica si può notare anche sulle guance di Dafne, unico segno della fatica della fuga. Accanto ai due protagonisti del mito, Tiepolo accolse nella scena anche i personaggi di Peneo e Cupido.
La metamorfosi di Dafne inizia dalle mani, come nell’opera del Bernini. Tiepolo scelse però di enfatizzare la femminilità della ninfa, rappresentando il suo corpo discinto ancora in gran parte umano, come se l’osservatore potesse cogliere solo l’inizio del suo cambiamento.
Se Bernini fu colui che donò all'episodio di un carica patetica senza precedenti, è importante sottolineare che non fu il primo a trasporlo in arte.
Al periodo tra il 1470 e il 1480 risale il dipinto Apollo e Dafne di Piero del Pollaiolo. Malgrado le dimensioni modeste (si tratta di un olio su tavola di non più di 30 cm) è interessante notare come l’artista scelse di rielaborare il mito.
Anche in questo caso si cerca di rappresentare il dinamismo delle due figure: una che cerca il contatto e l’altra che lo rifugge. Entrambi i personaggi sono colti nello slancio della corsa, ma il Pollaiolo in questo caso rifiutò il pathos che il Bernini donò alla ninfa: qui essa accoglie la metamorfosi con un'espressione serena, scambiando con Apollo uno sguardo quasi adorante. L’azione concitata dell’inseguimento viene a malapena mostrata, in favore di un ultimo contatto tra i due, prima che il corpo di lei si trasformi completamente in alloro.
In base alla loro epoca e alla loro sensibilità artistica, scultori e pittori diedero una diversa interpretazione del mito di Apollo e Dafne raccontato dalle Metamorfosi ovidiane. Nel XV secolo il Pollaiolo dipinse la trasformazione in albero con la dignità tipica delle opere rinascimentali, mentre circa tre secoli dopo il Tiepolo restituì a Dafne gran parte della propria femminilità umana.
Fu però il Bernini a fare della propria scultura una vera e propria narrazione, dinamica anche nella sua immobilità marmorea. Sfidando la gravità nella composizione della scena, l’artista seicentesco puntualizzò in ogni dettaglio l’inseguimento disperato di Apollo e la metamorfosi di Dafne in alloro, raffigurando l’evento come qualcosa di drammatico ed emotivamente intenso.
Nell’opera di questo artista sopravvivono con realismo gli ultimi istanti tra una ninfa e un dio, vittime del crudele scherzo di Amore.
Credits
Cover: "Apollo e Dafne", Gian Lorenzo Bernini, 1622-1625. Distributed under a CC-BY-SA-4.0 on Wikimedia
Immagine interna 1: "Apollo e Dafne", Gian Lorenzo Bernini, 1622-1625. Photo by Mateus Campos Felipe on Unsplash
Immagine interna 2: "Apollo e Dafne", Giovan Battista Tiepolo, 1743-44 ca. Diastributed under a CC-BY-3.0 on Wikimedia
Immagine interna 3: "Apollo e Dafne", Piero del Pollaiolo, 1470-75 ca. Distributed under a CC-BY-3.0 on Wikimedia
Naviga il sito e vedi tutti i contenuti di tuo interesse