Lo studio sul potere battericida delle muffe
Nella casa degli zii di Tiberio, infatti, l’acqua potabile era fornita da un pozzo frequentemente ricoperto da muffe. Così cominciò a notare una particolare correlazione: quando le muffe venivano raschiate via, i familiari, bevendo, si ammalavano spesso di gastroenterite; quando venivano lasciate o facevano ritorno, invece, erano indenni o addirittura guarivano.
Il giovane medico riuscì subito a cogliere lo stretto rapporto esistente tra le muffe (anche dette miceti )che altro non sono che colonie fungine, e le malattie. Così si procurò alcuni campioni prendendoli direttamente dal pozzo e portandoli nel laboratorio dell’università. Qui iniziò a studiare l’interazione tra le muffe e alcuni tipi di batteri, come colera e streptococchi. I risultati portarono a una scoperta sconvolgente: a contatto con queste colonie, la crescita di tali batteri veniva interrotta. Le muffe presentavano infatti proprietà cosiddette battericide. Tra le specie che componevano i gruppi di miceti osservati, oltre all’Aspergillus flavescens e al Mucor mucedo vi era proprio il fungo Penicillium glaucum, in grado di rilasciare delle sostanze solubili in acqua che inibivano la crescita di determinati patogeni. Non solo Vincenzo Tiberio mise in luce l’importante relazione, ma fu anche in grado di produrre discrete quantità di soluzione acquosa per le sue ricerche. Questa sostanza può essere definita come la prima penicillina, lo straordinario farmaco in grado di far guarire dall’infezione di determinati tipi di batteri.
Al termine del ciclo di sperimentazione in cui era riuscito a dimostrare il postulato iniziale, il medico pubblicò sugli Annali di Igiene Sperimentale lo studio sul “potere battericida delle muffe”. Tuttavia il testo non ebbe, nella comunità internazionale, il successo che avrebbe dovuto conseguire una dimostrazione scientifica di tale portata. Tiberio, deluso dal mancato riconoscimento, si dedicò poi esclusivamente alla carriera militare, imbarcandosi come Ufficiale medico della Regia Marina e abbandonando completamente le sue ricerche.
La scoperta di Fleming e il Nobel nel 1945
Circa 50 anni più tardi, più precisamente il 25 ottobre 1945, il medico inglese Alexander Fleming ricevette invece un telegramma speciale da Stoccolma che gli annunciava di essere stato insignito del premio Nobel per la medicina. Il prestigioso riconoscimento fu assegnato dalla Fondazione svedese per la scoperta della penicillina, avvenuta nel 1928. Lo scienziato britannico scoprì in maniera del tutto accidentale, come dichiarato da lui stesso, che una delle piastre utilizzate per la coltura di batteri patogeni era stata contaminata dal fungo Penicillium notatum, attualmente denominato Penicillium chrysogenum, il quale aveva creato un “alone di inibizione di crescita batterica”. Vale a dire che era riuscito a impedire la replicazione dei batteri.
Come riportato nei suoi appunti “la contaminazione involontaria di una capsula contenente colonie di Staphilococcus aureus con colonie fungine” aveva generato “un’inibizione della crescita batterica nelle colonie di Staphilococcus aureus”. Da questa prima osservazione passò quindi alla somministrazione ad alcune specie animali infettate dagli stessi batteri che erano stati sconfitti in vitro e, una volta constatata la validità dell’azione della penicillina, alla sperimentazione sugli esseri umani con buoni risultati anche se non ancora completamente efficaci.
Il processo di Fleming si bloccò nonostante gli esiti incoraggianti ottenuti, poiché, a differenza di Vincenzo Tiberio, non riuscì a riprodurre grandi quantità della nuova sostanza al fine di poterla distribuire su larga scala. Inoltre la scoperta derivava da un incidente procedurale e non da una meticolosa e consapevole osservazione come nel caso del medico molisano.
Il riconoscimento postumo per Vincenzo Tiberio
Fortunatamente, un decennio più tardi, il cosiddetto gruppo di Oxford venuto a conoscenza dei risultati pubblicati dallo stesso Alexander Fleming, riuscì a isolare la penicillina in forma parzialmente purificata, ancora più efficace di quella grezza scoperta inizialmente. I risultati furono resi pubblici sulla rivista specializzata The Lancet e aprirono ufficialmente la strada ai moderni antibiotici.
Nel 1947, dopo la premiazione di Fleming, il tenente colonnello Giuseppe Pezzi ritrovò all’interno della biblioteca militare lo studio pubblicato da Tiberio che, grazie alle recenti scoperte, assumeva una nuova importanza. Pezzi riportò quindi alla luce gli scritti dell’Ufficiale medico diffondendo la notizia tramite l’articolo “Un italiano precursore degli studi sulla penicillina”.
Due storie parallele quelle di Vincenzo Tiberio e Alexander Fleming. Eppure, anche se nel caso italiano si può notare un procedimento più meticoloso a livello intellettuale rispetto a quello incidentale del collega inglese, quest’ultimo è quello che è riuscito a conquistare maggiore successo nel campo scientifico. Oggi che la storia è decisamente più diffusa che in passato, nonostante Vincenzo Tiberio resti sicuramente “primo nella scienza, postumo nella fama”, è bene che venga raccontata e che venga restituito prestigio a questo grande medico precursore.