Cosa significa essere umani e, quindi, imperfetti? Difficile dare una risposta univoca, ma si può senz’altro provare a cercarla dentro i romanzi di Jonathan Franzen.
Probabilmente nessuno come lui è riuscito a rappresentare così bene le nostre contraddizioni. Questo perché nei suoi lavori Franzen fa un’operazione estremamente intelligente: riduce spesso il mondo all’unità di misura fondamentale della nostra società, la famiglia. E, all’interno di questo microcosmo, cerca di calcolare con estrema precisione il modo in cui i nostri comportamenti si incastrano con aspettative e ambizioni della collettività. Tra le sue righe emerge però un amore per l’imperfezione: una tacita e serena rassegnazione davanti all’inevitabile manchevolezza dell’essere umano.
Le correzioni (2001) è il terzo romanzo di Franzen, quello che l’ha trasformato in una star della letteratura mondiale. Di primo acchito è difficile isolare un solo motivo per il quale questo libro sia diventato un romanzo di culto: si tratta di una storia familiare molto corposa ma essenzialmente priva di colpi di scena. Nemmeno Hollywood se ne è mai innamorata, al punto che, dopo svariate proposte, non è mai stata realizzata la trasposizione cinematografica. Una volta immersi nella lettura, però, appare subito evidente perché sia ritenuto un libro generazionale.
Il romanzo racconta la storia dei Lambert, classica famiglia medio-borghese americana del Midwest. Enid è una mamma apprensiva che ha cercato in tutti i modi di tramandare ai tre figli la sua compostezza; papà Alfred, invece, è un ex ingegnere, marito fedele, padre severo. La sua faccia sembra scolpita nel legno e non lascia trasparire nessuna emozione. È un uomo tutto d’un pezzo, come si diceva al tempo, che ha lasciato alla moglie il compito di educare i tre figli che il cielo gli ha donato.
Enid è in effetti il personaggio simbolo del romanzo: moglie e madre devota, ossessionata da ciò che gli altri pensano di lei. Sono sue le “correzioni” del titolo, quelle impartite ai tre ragazzi durante l’infanzia, alla ricerca di un ineccepibile indirizzo morale che i tre avrebbero presumibilmente dovuto mantenere anche da adulti.
Eppure, quando la famiglia Lambert si riunisce per quell’ultimo tanto sospirato Natale, Enid si trova a fare i conti con la verità: Chip, Gary e Denise sono tre persone comuni, fallaci, insicure e contraddittorie. Uno è succube di un matrimonio infelice, l’altro non ha trovato il suo posto nel mondo e la ragazza non è venuta a patti con la sua identità. Ormai adulti, sono un subbuglio di emozioni, sbagli e sentimenti che li rendono imperfetti. Li rendono umani.
Tra le sue righe, nelle oltre seicento pagine che compongono l’opera, Franzen ci guida attraverso le vite complesse di questi personaggi fuori dai binari delle correzioni. Ci mostra la delusione, i sensi di colpa, la rabbia di esistenze imprecise. E va bene così, questo è il grande messaggio di un autore straordinario: essere umani significa continuare a cercare. L’ordine ambito da Enid, e rappresentato dal volto impenetrabile di Albert, è l’incubo di una società omologata, della quale possiamo solo illuderci di far parte.
Questo scomporre ai minimi termini l’essere umano continua anche nei lavori successivi di Franzen. Quasi fosse un entomologo che studia il comportamento dei suoi piccoli e intelligentissimi insetti. In Libertà (2010) è di nuovo il modello genitoriale a essere messo in discussione, attraverso lo scontro generazionale e il controverso rapporto tra realtà e aspettative. In Purity (2015) è centrale l’idea di famiglia, così come l’incomunicabilità tra figli e genitori. E di nuovo Franzen sembra avere in simpatia i personaggi più complessi e sfaccettati.
Dentro lo stesso cerchio si muove Crossroads, per la critica internazionale uno dei migliori libri del 2021. Il suo ultimo lavoro è la storia della famiglia Hildebrandt, composta da padre, madre e quattro figli. Siamo negli anni ‘70, nei dintorni di Chicago. Russ, il capofamiglia, è un pastore protestante che ha educato i suoi figli secondo i dettami religiosi che gli sono imposti dalla sua figura di guida spirituale. È un uomo gioviale, attento alle necessità della sua comunità, che cerca di tenersi al passo con un periodo storico di enormi cambiamenti sociali. Per le strade i giovani si fanno chiamare figli dei fiori, la musica fa spazio a testi più politici e anticonformisti. Dall’esterno la sua famiglia sembra felice, ma all’interno si vive nuovamente la situazione vista in Le correzioni.
Tutti i personaggi del libro infatti stanno attraversando un periodo in cui mettono in discussione la loro appartenenza alla cosiddetta “buona società”: Russ si è preso una cotta per un’altra donna; Marion, la moglie, è tormentata da alcuni fantasmi del passato e anche lei sembra pensare a un altro uomo; i figli, tutti adolescenti, sono alle prese con i primi amori, con il tesissimo rapporto tra i genitori, con l’accettazione di sé all’interno della comunità di ragazzi.
Ed è in questo marasma che la prosa di Franzen eccelle: nel riuscire ad affrancare due facciate tanto diverse, all’esterno la famiglia integerrima, all’interno spaccature sempre più evidenti. Attraverso le voci dei protagonisti, l’autore ci suggerisce che non esiste una moralità totalmente giusta o sbagliata, inserendo momenti di perfetta umanità, parentesi di dolore, attimi di gioia. Un puzzle che, una volta uniti i pezzi, ci restituisce finalmente un’immagine autentica della famiglia Hildebrandt.
Pensare di trovare una risposta certa tra le pagine di un romanzo è pura utopia. Ed è Franzen stesso a suggerire che non c’è una vera soluzione e che qualsiasi illusione di averne trovata una è, per l’appunto, l’ennesima bugia. C’è però una scena nel suo ultimo romanzo che è significativa da questo punto di vista e rappresenta la conclusione perfetta di questo percorso di “indagine familiare” durato quattro libri e vent’anni.
Il protagonista della scena è Perry Hildebrandt, il figlio di mezzo, quello più tormentato. Ha appena consegnato a scuola un tema in cui si interroga sulla natura della bontà umana e, controvoglia, si trova a dover presenziare a una festa organizzata dal padre che raccoglie tutti i leader religiosi della cittadina. Proprio durante l’ennesimo discorso sulla moralità di uno degli integerrimi pastori, Perry davanti all’indulgenza degli adulti afferma arrabbiato: “Quello che sbaglia sono sempre io. Voi siete tutti salvi, invece io a quanto pare sono dannato. […] Sto facendo del mio meglio!”. Lo dice a voce alta e tutti gli adulti si ammutoliscono e gli puntano gli occhi addosso, rimproverandolo per aver rotto la quiete della serata.
In questa parentesi di tenera umanità, mentre tutti i grandi guardano con rimprovero Perry, è bello immaginare Franzen che invece accoglie il suo sfogo con un sorriso. Un gesto di amore per quel ragazzo che, nonostante “le correzioni” della società e gli imprevisti che la vita gli mette davanti, resta in sella. E fa del suo meglio, umanamente.
Credits
Cover: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Franzen-13_(6959096169).jpg
Immagine interna 1: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Jonathan_Franzen_2011_Shankbone_2.JPG
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