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Architettura & Design
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Best cantine: architettura e vino, brindiamo ad un binomio perfetto

11 ottobre 2021

Ottobre, benvenuta vendemmia. Momento perfetto per pensare a weekend dedicati all’enoturismo, quel fenomeno in larga ascesa che vede sempre più persone in cerca di esperienze multisensoriali che sappiano combinare buon vino e buona cucina, scoperta dei territori, arte e architettura contemporanea. I turisti italiani ritengono, infatti, la visita alle cantine un’opportunità di arricchimento intellettuale capace di mettere in contatto con l’identità, le tradizioni e la cultura, soprattutto enologica, del luogo che si sta visitando.

A dare maggiore corpo a questo trend Roberta Garibaldi, autrice del Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano e Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, secondo cui l’enoturismo ha registrato un delta di incremento del 17% per ciò che riguarda l’interesse per i tour tra le cantine. Un’evoluzione che si è sviluppata in particolare negli ultimi tre anni in cui il 64% degli enoturisti ha visitato una o due cantine, il 26% dalle tre alle cinque, il 10% dalle sei in su. (fonte: Il Sole 24 ore, articolo di Enrico Netti).

Un richiamo irresistibile anche per le archistar

Sì perché le affinità, tra architettura e vino, sono molteplici. Ad esempio l’iter, quel processo lungo e metodico che consente di rendere un semplice chicco d’uva in un pregiato bicchiere di vino è molto simile al processo creativo che porta un architetto ad elaborare un’idea iniziale trasformandola poi in un progetto finito. Pensateci: in entrambi i casi si parla di design e di accuratezza. Ma anche di pensiero, di complessità e di capacità di rischiare. È tutta una questione di pazienza e valore. Quello dell’architettura per le cantine vinicole, in effetti, rappresenta un campo di sperimentazione formale e culturale di tutto rispetto per i progettisti, e negli ultimi anni ha offerto esempi particolarmente interessanti nel panorama internazionale, producendo alcuni degli edifici più incredibili che si trovano oggi nel mondo. Bolle, tartarughe, astronavi, scatole: le forme possibili oggi per l’architettura del vino sono le più fantasiose. Moltissime archistar, infatti, si sono messe alla prova con questa specifica tipologia architettonica che punta su una ricerca qualitativa altissima, tutta giocata sui dettagli. Tra loro Herzog & de Meuron, Mario Botta, Santiago Calatrava, Frank O.Gehry, Steven Holl, Rafael Moneo, Norman Foster ma anche gli italiani Archea (Marco Casamonti), Renzo Piano, Alvisi Kirimoto, Fiorenzo Valbonesi, Gianni Arnaudo, Pietro Sartogo, Edoardo Milesi, per citarne alcuni.

Con una concentrazione particolare in alcune aree geografiche, notoriamente legate alla produzione vinicola: Toscana (che per l’Italia è la regione che vanta il maggior numero di cantine griffate) sud della Spagna e della Francia e la Napa Valley, in California.

Dove funzione tecnica e qualità estetica si combinano meravigliosamente

Realizzare una cantina oggi – vale a dire non soltanto la parte dedicata alla lavorazione, allo stoccaggio e alla conservazione corretta del prodotto, ma anche lo spazio di vendita, accoglienza e lavoro, quelle aree collaterali ormai divenute indispensabili – implica la ricerca e la messa in pratica di criteri tecnologici stringenti e caratteristiche rigorose proprie della filiera produttiva, specialmente per quanto riguarda il controllo termoigrometrico (vale a dire i valori che determinano temperatura e umidità degli ambienti) e l’utilizzo di materiali specifici. Non tanto per gli esterni – dove le possibilità si ampliano e variano a seconda della latitudine e longitudine, dello stile del progettista e della cantina che commissiona l’opera – quanto, piuttosto, negli interni – ad esempio dove sono i silos o i barriques, ovvero i depositi e le botti –  in cui alcune finiture sono più performanti di altre, riuscendo ad assolvere meglio la loro funzione tecnica senza abbassare la qualità estetica dell’opera.

Ma soprattutto, che si utilizzi un linguaggio metaforico, evocativo, astratto o letterale, tra le caratteristiche principali e ricorrenti dell’architettura per il vino c’è quella della profonda integrazione delle sue strutture con il paesaggio; l’obiettivo è di diventare simbiotiche con il contesto in cui sono calate, mimetiche quasi, nel rispetto delle morbide orografie collinari in cui si collocano e, non da meno, di apportare il più basso impatto ambientale. Un dialogo serrato che però non rinuncia alla vocazione POP che sempre di più accompagna il design di questi spazi o la combinazione con opere di arte contemporanea, magari site-specific, inserite a completamento di quell’idea di bellezza esperienziale totale che avvolge il mondo del vino di livello.

Le cantine più stupefacenti in Italia

Cantina Antinori nel Chianti Classico, dello studio Archea capitanato dall’architetto Marco Casamonti, è forse l’esempio più lampante, anche mediaticamente: dalla sua apertura, la sua fama non ha fatto che crescere. Un progetto che punta tutto, almeno formalmente, su tre elementi: la grande rampa elicoidale (nata da un errore progettuale e diventata in breve una pluri fotografata icona) l’utilizzo massivo dell’acciaio corten (con il suo caratteristico colore brunito, frutto di un’ossidazione controllata) e il tetto giardino, calpestabile, che nasconde il volume nel paesaggio, minimizzandone l’impatto sul territorio.

O anche la Tenuta Castelbuono dove il carapace di Arnaldo Pomodoro sembra un’astronave metallica appena atterrata tra le vigne. O la Cantina Petra a Suvereto, nel cuore della Maremma, firmata dall’architetto svizzero Mario Botta che mantiene la sua cifra stilistica ricorrente – il  mattoncino facciavista – per realizzare un volume orizzontale merlato, disteso tra i filari. E ancora, la Frescobaldi Ammiraglia, opera di Piero Sartogo e della paesaggista francese Nathalie Grenon che, sorgendo a poca distanza dalla costa, è stata pensata come “una nave che punta verso il mare in cerca di nuovi orizzonti”. Sempre in Maremma, sorge la cantina minimalista progettata da un altro grande maestro dell’Architettura, Renzo PianoRocca di Frassinello sembra un museo moderno nelle parti dedicate alla reception e alla zona espositiva, mentre la cantina vera e propria, la cosiddetta “barricaia”, ricorda nella struttura un teatro greco, con le gradinate piene di botti.

Particolare attenzione destò, nel 2015, L’astemia Pentita a Barolo, nel Cuneese, dell’architetto Gianni Arnaudo; l’edificio appare come due enormi cassette di vino sovrapposte con tanto di scritte cubitali.

Scrive al proposito Arnaudo:

“Il mio progetto della cantina L’Astemia Pentita è stato concepito in modo da contenere al minimo la volumetria esterna della cantina (circa 200 mq – e cioè la superficie coperta di una villetta residenziale) rispetto alla parte produttiva che si sviluppa invece per circa 4.000 mq sotto la collina con tutte le fasi produttive del vino. Pertanto l’impatto fisico del costruito è decisamente ridotto ed integrato nel paesaggio grazie anche alle previste numerose essenze locali e filari di viti che la circondano.”

Voluta dall’imprenditrice piemontese Sandra Vezza – l’astemia era lei, almeno prima di assaggiare il barolo, ndr –   è “la prima cantina vitivinicola pop, nata da una profonda contaminazione culturale tra mondo dell’Architettura Radicale ed eccellenza italiana.

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