Se fosse possibile chiudere gli occhi e immergersi in un’altra epoca storica, molti appassionati di arte sceglierebbero la Firenze rinascimentale, culla di correnti culturali che hanno profondamente segnato la storia. Le strade della città toscana, nel Cinquecento, pullulavano infatti di personalità di spicco che hanno rivoluzionato il mondo della letteratura, della pittura o della scultura. Tra questi, però, non sempre i rapporti erano idilliaci. Anzi. Lo dimostra un noto diverbio tra Leonardo e Michelangelo, due grandissimi artisti che si sono rivolti parole poco dolci mentre veniva chiesto loro di commentare i versi di un altro genio vissuto a Firenze qualche secolo prima: il Sommo Poeta, Dante Alighieri.
La ruggine tra i due era, in realtà, precedente a questo aneddoto raccontato nell’Anonimo Gaddiano. La loro rivalità, dovuta anche a stili e caratteri molto diversi, aveva infatti radici datate e aveva raggiunto l’apice quando Leonardo – uno dei nomi principali della commissione che doveva decidere la collocazione del David – aveva proposto di relegare la maestosa opera di Michelangelo in un luogo secondario. Un’offesa insopportabile.
“Et passando ditto Lionardo […] dove era una ragunata d’huominj da bene, et dove si disputava un passo di Dante, chiamaron detto Lionardo, dicendogli che dichiarassj loro quel passo”
Così il manoscritto Anonimo Gaddiano ci riporta a quel giorno del 1504, durante il quale Leonardo venne coinvolto nell’interpretazione de La Divina Commedia da un gruppo di persone che per strada enunciava i versi del Sommo Poeta. Il codice, datato 1540 e conservato nella Biblioteca Nazionale di Firenze, rappresenta assieme alle Vite del Vasari una preziosissima fonte sul rinascimento italiano, anche grazie ad aneddoti curiosi come quello appena accennato. Un racconto che di colpo vede l’entrata in scena di Michelangelo, presente tra coloro che commentavano le terzine di Dante. A chiamarlo in causa è proprio Leonardo, che lo spronò provocatoriamente a dire la sua. Il Buonarroti, però, sentendosi preso in giro, replicò in modo piccato.
“Con ira gli risposte: dichiaralo pur tu che facestj un disegno di uno cavallo per gittarlo di bronzo, et non lo potestj gittare, et per vergogna lo lasciastj stare”
Un’allusione chiara al Monumento equestre a Francesco Sforza, progettato da Leonardo tra il 1482 e il 1493, mai portato a termine e arrivato fino a noi solo in alcuni bozzetti preparatori. Dopo questa risposta, Michelangelo girò le spalle e andò via, lasciando di stucco Leonardo che “per le dette parole diventò rosso“. Ecco spiegato perché, come scrive Giorgio Vasari nelle Vite, “era sdegno grandissimo fra Michele Agnolo Buonaruoti e lui”.
I contrasti tra Michelangelo e Leonardo erano dovuti certamente a un gap generazionale, ma erano alimentati anche dalle differenze trai due, e da un modo antitetico di intendere l’arte. Leonardo – bello, socievole e di estrazione borghese – era un pensatore eclettico, sempre alla scoperta del mondo e ammaliato dalla scienza, nonché sostenitore della pittura in quanto unica arte in grado di rappresentare la bellezza della natura. Michelangelo – nobile decaduto, solitario e irascibile – invece era concentrato soprattutto sulla rappresentazione dell’essere umano e delle sue emozioni, restituite al meglio dalla plasticità della scultura.
Ma il vero casus belli tra i due è legato a una delle opere scultoree più note di Michelangelo, nonché una delle più belle mai realizzate: il David. Emblema della bellezza ideale maschile e dell’eroismo, narra il mito biblico della lotta dell’eroe Davide contro il gigante Golia e – con i suoi 5,2 metri di altezza – scrive il Vasari “ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fossero”.
Oggi il David accoglie i visitatori all’ingresso della Galleria dell’Accademia a Firenze, ma la sua collocazione non è stata sempre questa. A gennaio del 1504, a opera conclusa e disvelata, una commissione di esperti fu chiamata a decidere su dove andasse posizionata, poiché la maestosità della statua era tale da impedire che venisse ospitata dal Duomo. Oltre a Botticelli, al Perugino, a Filippino Lippi, al Pollaiolo e al Ghirlandaio, venne coinvolto anche il grande Leonardo, infastidito dall’idea di mettere in bella mostra il capolavoro del collega e rivale.
Mentre Botticelli suggerì un posizionamento nei pressi del Duomo e altri membri della commissione optarono per il cortile di Palazzo Vecchio, la proposta del Da Vinci fu di collocare la statua in una nicchia presso la Loggia della Signoria. La ragione della proposta, a suo dire, risiedeva nella necessità di tutelare il marmo di Carrara utilizzato per realizzare la statua e nella volontà di non intralciare il passaggio dei soldati nella piazza principale di Firenze. Tuttavia, il David finì effettivamente lì, ai piedi di Palazzo Vecchio: una scelta che conferiva all’eroismo del protagonista oltre che un significato religioso anche uno civile, rendendolo simbolo della neonata Repubblica, istituita dopo la cacciata dei Medici del 1494.
Il David rimarrà lì fino al 1872, quando sarà spostato e sostituito da una copia; ma l’ostracismo di Leonardo fu qualcosa che Michelangelo non dimenticò mai.
Le occasioni per mettersi nuovamente in competizione non mancarono, ma nel 1505 la loro rivalità raggiunse l’acme. Entrambi gli artisti infatti vennero chiamati dal governo fiorentino a realizzare due affreschi destinati alla Camera del Consiglio del Palazzo della Signoria. In una delle pareti Leonardo fu incaricato, su suggerimento di Niccolò Machiavelli, di dipingere la Battaglia di Anghiari, vittoria di Firenze contro Milano avvenuta nel 1440; poco dopo Michelangelo venne coinvolto nella realizzazione della Battaglia di Cascina, un secondo affresco che doveva sorgere sulla parete opposta a quella del Da Vinci, raffigurante la vittoria della città contro Pisa del 1364. Fu così che nacque quella che venne ribattezzata “la battaglia delle battaglie“: uno scontro tra titani, gomito a gomito.
Ironia della sorte, facendo seguito al diverbio avvenuto per le strade di Firenze, neppure quella volta Leonardo portò a termine l’incarico. Ad onor del vero, però, anche il Buonarroti non concluse La Battaglia di Cascina. L’artista partì alla volta di Roma, lasciandosi alle spalle la rivalità col genio vinciano per dedicarsi a un’altra delle sue più importanti creazioni: la magnifica Cappella Sistina.
Benché le opere “ufficiali” rimasero incompiute, i cartoni preparatori delle due battaglie – di cui a noi sono giunte solo delle copie – furono ritenuti dai contemporanei dei capolavori straordinari. Lo scrittore e scultore manierista Benvenuto Cellini nella sua autobiografia lì definì “la scuola del mondo”, perché tutti gli artisti del tempo andavano a studiarli, contribuendo così alla diffusione dell’eredità artistica di Michelangelo e Leonardo, oltre che della loro leggendaria rivalità.
Credits
Cover: Leonardo da Vinci, Autoritratto. Image distributed under a CC0-1.0 license via Rawpixel; Michelangelo Buonarroti dipinto da Daniele da Volterra. Image by Metropolitan Museum of Art online collection, distributed under a CC-PD-Mark license via Wikimedia.
Immagine interna 1: David di Michelangelo, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1501-1504. Image by Jörg Bittner Unna, distributed under a CC-BY-3.0 license via Wikimedia.
Immagine interna 2: David di Michelangelo, Firenze, Galleria dell’Accademia, 1501-1504. Image by Carl Marx from Grenoble, distributed under a CC-BY-2.0 license via Wikimedia.
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