Nei primi anni duemila si osservò un fenomeno particolare in diverse zone del mondo: una concentrazione superiore alla norma di ultracentenari in piccole aree circoscritte della Terra. Furono denominate Blue Zone e una di queste si trovava nell’isola di Okinawa, in Giappone. In tutte queste aree, oltre al clima mite, alla dieta sana e al basso livello di stress, c’era in comune un’altra caratteristica: gli anziani non venivano messi da parte dalla comunità. Restavano attivi, avevano hobby e interessi, perfino veri e propri lavori fino a tarda età. Erano felici di avere ancora uno scopo nella vita e a Okinawa c’era un termine per definire questo stato: ikigai.
L’origine della parola risale al periodo Heian e proviene da “iki”, che significa vita, e “gai” che vuol dire valore. Ikigai può quindi essere tradotto come “ciò che dà valore alla vita” o, come piace dirlo ai giapponesi, “il motivo per cui ti alzi al mattino”. Secondo la cultura nipponica ciascuno di noi ha un ikigai e individuarlo ci permette di inseguire un obiettivo che ci renda appagati. Riuscire a identificarlo risulta fondamentale quindi per decidere come direzionare le proprie energie, per raggiungere la soddisfazione e per scuotersi di dosso la passività. Trovare uno scopo però richiede uno studio approfondito di se stessi e del mondo che ci circonda: un lungo viaggio per riuscire a comprendere al meglio cosa ci rende davvero felici.
Nel 2017 la psicologa giapponese Michiko Kumano ha affermato che il modo migliore per descrivere l’ikigai è parlare di uno stato di benessere che nasce dalla devozione per le attività che si svolgono e che porta a un senso di completezza. Non si tratta di un piacere edonistico, e quindi transitorio per definizione, ma piuttosto di ciò che gli antichi greci etichettavano come eudaimonia, ovvero il senso di appagamento di una vita vissuta alla ricerca della felicità.
Quest’ultima è una delle principali chimere dell’umanità. Da sempre filosofi e sociologi si interrogano su cosa significhi essere felici e come raggiungere questo stato di benessere. L’ikigai è una possibile risposta a questa domanda, e si allontana da una prospettiva puramente economica, che vede in ricchezza e beni materiali gli unici segni di realizzazione e le ragioni principali della nostra soddisfazione.
Infatti, sebbene nel tempo il concetto di ikigai sia andato incontro a diversi cambiamenti e interpretazioni, non viene inteso come un’azione egoriferita. Piuttosto come qualcosa che abbia la possibilità di creare un valore che impatti positivamente anche sulla comunità di cui si fa parte. L’ikigai è quindi come una ricerca, un viaggio di crescita personale che cambia con noi, con le nostre passioni, con i nostri bisogni e con ciò di cui il mondo ha necessità.
Non si tratta di un compito semplice: spesso costruiamo le nostre aspettative e i nostri desideri su ciò che la società si aspetta da noi o, peggio, viviamo passivamente la nostra esistenza con il pilota automatico. Questa filosofia di vita è invece un invito a scuotersi dal torpore e a diventare attori protagonisti del proprio film personale, in quanto l’ikigai si trova proprio all’intersezione tra i nostri talenti e ciò che possiamo fare per rendere il mondo un posto migliore.
Prima di tutto è importante non pensare che l’ikigai sia incentrato esclusivamente sulla propria carriera lavorativa e che il proprio successo professionale sia l’indice che dà senso alla propria vita. Come sostiene Ken Mogi, neuroscienziato e giornalista giapponese, autore de Il piccolo libro dell’ikigai (2018), non importa qual è il proprio posto nel mondo: addetto alle pulizie, cuoco di sushi in un ristorante stellato, oppure una giovane mamma che si occupa del neonato. Se si trova soddisfazione in ciò che si fa e ci si sente bravi, allora si è trovato il proprio ikigai.
La versione originale del concetto di ikigai si concentra quindi molto su ciò che ci fa felici, escludendo dall’equazione la sfera lavorativa. Negli ultimi anni però autori occidentali ne hanno fornito una versione moderna, più attenta alle esigenze di una vita che non può prescindere dalla dimensione professionale. Autori internazionali come Hector Garcia, firma del bestseller Il metodo ikigai: I segreti della filosofia giapponese per una vita lunga e felice (2018), hanno spiegato come far coincidere la carriera con la propria felicità.
Trovare il proprio ikigai, secondo l’autore, è un percorso che inizia dall’incontro delle risposte a queste quattro domande: cosa amo fare? Cosa sono bravo a fare? Di cosa ha bisogno il mondo? E, infine, per cosa posso essere pagato?
La prima domanda è la più semplice, basta pensare a cosa ci dà gioia anche se in cambio non otteniamo nulla. Un hobby, per esempio. La seconda risposta è già più impegnativa: in cosa sono bravo? C’è bisogno in questo caso di un’analisi che prenda in relazione i propri talenti. Ciò in cui si è bravi può non coincidere con ciò che ci piace fare, o può dipendere da talenti naturali: essere empatici o avere la capacità di parlare in pubblico, per esempio.
Le altre due domande suppongono un’attenta analisi del mondo che ci circonda per individuare un bisogno della comunità di cui facciamo parte o una richiesta da una realtà lavorativa che conosciamo. Questo ramo del diagramma fa capo al rapporto con le altre persone, a ciò che fa bene al di là della nostra vita, e risponde a precise regole del mercato che prescindono dalla nostra volontà.
Spesso la società di cui facciamo parte soddisfa al massimo tre di questi criteri e non può garantire che ameremo ciò che faremo. Compilare questo schema si rivela in ogni caso un compito utile, perché al di là della possibilità di trovare l’intersezione ideale è possibile trovare delle alternative capaci di combinare più dimensioni possibili. Si potrebbe per esempio cogliere un punto d’incontro tra “ciò che ami fare” e “ciò di cui il mondo ha bisogno”, trovando il senso della propria vita nel volontariato o in attività che aiutino gli altri.
Nonostante si sia cercato di comprimere una filosofia così vasta e inafferrabile all’interno di uno schema, la ricerca del proprio ikigai è più da intendersi come un percorso; un lungo viaggio alla scoperta del valore di se stessi. Ken Mogi racconta questo tragitto come un itinerario alla ricerca delle connessioni per vivere a pieno il “qui e ora”. Un inno alla riflessione per conoscersi e riconoscersi.
Anche se la concezione dell’ikigai può variare, le sue interpretazioni sono infatti tutte d’accordo su un aspetto: trovare uno scopo motivante per la propria vita è associato a una maggiore realizzazione, fatta di felicità e consapevolezza. Si tratta di un lungo itinerario che muta continuamente, e ciascuno di noi può trovare la destinazione nelle intersezioni più inaspettate delle risposte che riesce a darsi.
Credits
Cover: Free image published on Pixabay by Walkerssk
Immagine interna 1: Free image published on Pixahive by arnab_rath
Immagine interna 2: Ikigai, Ben Freeman. Distributed under the CC BY-NC 2.0 license on Flickr
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