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Donna Tartt: tre libri in trent’anni, il Pulitzer per “Il Cardellino” e il romanzo che verrà

04 agosto 2022

Più che un’autrice, Donna Tartt è un puzzle, un enigma da risolvere: sessantenne, tre romanzi bestseller in trent’anni, decine di milioni di copie vendute, un premio Pulitzer. Pare che rilasci interviste solo quando è in promozione e che non sia nemmeno troppo contenta di farlo. Per lei, citiamo letteralmente, è come scendere sulla Terra dalla sua astronave. Si trova a suo agio solo con la penna in mano, scrivendo e scrivendo ancora. Eppure, nonostante questo identikit ben poco “social”, Donna Tartt è una donna estremamente cordiale, una chiacchierona, con ancora la curiosità di una ragazza e un senso dell’umorismo fulminante. In una vecchia intervista a La Repubblica il giornalista le chiese come mai avesse dichiarato che avrebbe scritto al massimo cinque romanzi, e lei rispose con un’alzata di spalle: “Perché mediamente impiego dieci anni, è una semplice questione matematica”.

Probabilmente è in questo quadro così atipico che si nasconde il segreto della sua scrittura. Donna Tartt è un’antidiva, una totalmente al di fuori del sistema. Non si lascia influenzare dalle pressanti richieste degli editor o dei suoi fan, non è disposta a scendere a compromessi in nessun campo: tempistiche, tematiche, stile. È inflessibile persino con se stessa: scrive almeno tre ore al giorno, tutti i giorni, ma se quello che ha tirato fuori non le piace lo prende e lo cestina. Alla fine quello che esce dalla sua penna è perfetto, tanto che Donna è già un’autrice di culto. Il Cardellino, il suo ultimo grande capolavoro, le è valso il Pulitzer nel 2021. Arrivava a dieci anni dal bestseller precedente, Il piccolo amico, e a venti da quello prima, Dio di illusioni. E ora, all’alba dei dieci anni passati dall’ultimo romanzo, la Tartt sta di nuovo per scendere dall’astronave?

La lenta ma decisa affermazione di un’autrice unica

A metà degli anni ‘80, Donna Tartt frequenta un corso di scrittura creativa all’Università di Bennington. L’insegnante che lo tiene è italiano: si chiama Arturo Vivante, figlio del filosofo Leone Vivante. Arturo nell’ateneo è una star, perché negli anni ‘50 è stato un giovane prodigio letterario che pubblicava storie sul The New Yorker ed è stato colui che ha tradotto Leopardi in inglese. Il corso quindi è molto frequentato, e insieme a Donna siedono ai banchi il futuro scrittore Jonathan Lethem e, soprattutto, quel fenomeno di Bret Easton Ellis. Quest’ultimo diventerà grande amico della scrittrice, tanto che lei gli dedicherà il suo primo romanzo. Qualche mese dopo Ellis passa dall’essere uno studente qualsiasi a una vera e propria celebrità quando pubblica la sua opera prima, Meno di zero.

In questi anni Donna è già al lavoro su Dio di illusioni. Nel 1992, a ventotto anni, anche lei diventa un caso editoriale. Il suo romanzo non è molto lontano per tematiche da quello di Ellis: giovani ricchi e annoiati che si spingono oltre il limite. Dentro c’è l’atmosfera hitchcockiana del thriller perfetto. Dio di illusioni è un romanzo imperdibile, dal quale è impossibile staccare gli occhi una volta cominciato. Ed è anche un successo commerciale da milioni di copie, che in poco tempo diventa uno dei romanzi più venduti degli anni ‘90.

Solo che a quel punto Bret Easton Ellis comincia a sfornare libri uno dopo l’altro (Le regole dell’attrazione nel 1987, American Psycho nel 1991, Acqua dal sole nel 1994), mentre Donna sparisce. Si mette al lavoro sul suo secondo romanzo, che però arriverà solo dieci anni più tardi, nel 2002. Ma l’attesa vale la pena: Il piccolo amico, ambientato nel cupo Mississippi degli anni ’60, è un mistery irresistibile. Di nuovo un successo commerciale. Di nuovo dieci anni prima del libro successivo.

L’altra domanda che si legge più spesso nelle interviste è quella che immaginate: perché dieci anni tra un libro e l’altro? Anche in questo caso Donna è razionale: “È il modo in cui opera la mia mente”. Ammette di aver provato a essere più veloce ma, semplicemente, non funziona. È una perfezionista e ha il vezzo di scrivere tutto a mano. Migliaia di pagine di appunti fittissimi, tutti riversati su carta. “Nella fase finale del romanzo […] non riesco fisicamente a portarmi dietro tutta quella carta”. Anche come lettrice, aggiunge, è così: passa moltissimo tempo a rileggere libri che ha amato, che ha letto da ragazza. Vuole conoscerli alla perfezione. Per questo non ha mai tolto Oliver Twist dal comodino.

Il Cardellino, un romanzo che stimola mente e cuore

Nel 2013, leggermente in ritardo rispetto alla tabella di marcia dei dieci anni, arriva il libro che l’ha definitivamente consacrata: Il cardellino, un volume di oltre 900 pagine che si è aggiudicato il Pulitzer e che ha ispirato un adattamento cinematografico.

Il libro ruota attorno all’omonima opera di Carel Fabritius, il migliore degli allievi di Rembrandt, tragicamente scomparso in un incendio a 32 anni. Il protagonista del racconto è Theo, che in un lungo flashback ripercorre la sua difficile infanzia e l’ossessione per la suddetta opera d’arte. Dopo un eccezionale colpo di scena, il ragazzo riesce a sottrarre il quadro al MoMA di New York e Il Cardellino diverrà il perfetto MacGuffin per raccontare il viaggio di Theo tra New York, Las Vegas e Amsterdam.

L’opera è un romanzo di formazione che mescola elementi thriller e drammatici, dosando il tutto in modo straordinario. “È un libro che parla di come ci si sente quando si è imprigionati dalla propria storia, dal proprio passato”, dice la Tartt. “Una storia sulla sopravvivenza e anche sulla cattività e sulla liberazione”. Dentro c’è chiaramente l’influenza dei romanzi d’avventura che leggeva da ragazza, una forte impronta dickensiana e quel tocco, quell’amore per il mistero, che rende Il cardellino l’ennesimo page turner a cui è impossibile resistere.

Nell’anno in cui è uscito, Bret Easton Ellis ha affermato che Il cardellino era l’unica cosa che valesse la pena leggere in quel momento, e anche Stephen King se n’è innamorato, definendolo una di quelle rarità che capitano una mezza dozzina di volte in un secolo. La giuria del Pulitzer ha motivato il premio scrivendo: “È un libro che stimola la mente e tocca il cuore”.

Sono passati quasi dieci anni…

Dopo l’evento rappresentato da quest’ultimo romanzo, decisamente quello di maggior successo della carriera di Donna Tartt, sarebbe stata una follia pensare che il modus operandi di questa rarissima autrice sarebbe cambiato. E difatti non è successo. I giornalisti hanno fatto la fila per chiederglielo: cosa ci dobbiamo aspettare tra dieci anni? E lei, ancora una volta è stata al gioco: “Ci sto già pensando e non vedo l’ora di risalire sull’astronave” ha detto. E poi nient’altro. Silenzio radio fino a oggi.

C’è un fascino evidente nel modo in cui Donna affronta il processo creativo. Sembra quasi un rituale ben preciso. Sacro. Intoccabile. Un processo nel quale a nessuno è consentito sbirciare, quasi appartenesse a un altro mondo. Nel 2021 durante un’intervista a Rivista Studio la giornalista ha timidamente provato ad alzare il dito e chiedere se poteva darci una piccola anticipazione sul nuovo romanzo. “Temo di no”, ha risposto lei, “se ne parlassi prima di finire, non avrei alcun motivo di finirlo”.

Ora ce la immaginiamo al lavoro che sorride, con quel senso dell’umorismo caustico che non l’ha mai abbandonata. Nemmeno dopo centinaia di risposte identiche alla stessa identica domanda. Ci piace pensare che il suo appartamento sia invaso da migliaia di fogli di carta, pieni di spunti e appunti. Perché i dieci anni stanno per scadere e noi lettori aspettiamo ancora una volta l’ennesimo, grande romanzo di Donna Tartt, un’autrice unica nel suo genere.

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