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Gli haiku: l’arte di catturare la magia del “carpe diem”

30 maggio 2022

C’è un antico detto che recita: “L’occidente è loquace, l’oriente silenzioso”. Ebbene in quel silenzio, in quel non detto, si nascondono sensazioni, immagini e parole. Cercare di afferrarle attraverso l’essenziale è il compito degli haiku. Un haiku è un componimento aperto, che mette a nudo l’anima dello haijin, lo scrittore, e chiede al lettore di completarne l’opera. Infatti Ogiwara Seisensui, uno dei più famosi poeti giapponesi del '900, disse: “Ciascun haiku è come un cerchio: metà è frutto del lavoro dello haijin, chiudere il cerchio però è compito del lettore”. Per rispondere a questa esigenza ogni haiku si attiene a dettami molto precisi: l’indicazione stagionale, la metrica, perfino quel veto strutturale di non inserire il titolo, non iniziare mai con la maiuscola né terminare con un punto fermo.

Allo stesso tempo però gli haiku rifuggono le regole, trascendono le limitazioni del linguaggio divenendo atto finale di un’azione contemplativa. Comprendere al meglio questa filosofia oggi è complesso, perché ci richiede di far funzionare il cervello a ritmi meditativi e molto più dilatati di quelli a cui siamo abituati. Ritmi che ci invitano a cogliere la magia del momento, escludendo tutto il resto.

Come nasce l’haiku

“In questo mondo
anche la vita della farfalla
è frenetica”
(Kobayashi Issa)

La storia degli haiku inizia da lontano, dal XVII secolo, quando cominciò a diffondersi la poesia breve giapponese, “tanka”, soppiantando i componimenti più lunghi (chiamati “chōka”). In particolare si ipotizza che gli haiku nascano dalla prima strofa dei “renga del Periodo Heian, ovvero testi poetici a più mani composti da strofe molto simili agli attuali haiku.

A permetterne la diffusione fu la scoperta che la prima strofa di questi componimenti, da sola, non perdeva di slancio lirico e suggestività. Anzi, attraverso la propria essenzialità, esaltava il carattere contemplativo e l’importanza del non detto. La struttura era peculiare: 3 versi che contano rispettivamente 5, 7 e 5 more, l’unità di misura della sillaba.

Proprio grazie ai toni semplici, questi componimenti puntavano a esprimere il punto di arrivo di una meditazione interiore. Un’esplosione di sensazioni, con lo scopo di focalizzare l’attenzione del lettore su un singolo avvenimento, per quanto piccolo, oscurando il quadro generale. Spesso alla ricerca di una relazione autentica con la natura. Proprio questo era l’obiettivo di maestri come Matsuo Bashō, Kobayashi Issa e Masaoka Shiki: cercare di esaltare gli avvenimenti quotidiani, ciò che diamo per scontato o perdiamo di vista nella frenetica vita di tutti i giorni. Creando un vuoto attorno all’immagine, esaltandola in modo che nulla risulti insignificante.

Il vuoto che circonda l’haiku si riempie così di stupore e di meraviglia, enfatizzando il rapporto con il sottile, con l’invisibile. Per riassumere questo concetto in una frase, è d’uso dire che in un haiku gli spazi bianchi hanno egual peso delle parole di cui è composto.

Gli elementi essenziali: il Kigo e il Kireji

Elemento importante nella composizione di un haiku è il kigo, ovvero un termine che funge da riferimento stagionale e rappresenta la chiave di lettura dell’intera opera. Gli haiku sono infatti componimenti profondamente connessi alla natura, e le stagioni rappresentano l’orologio metaforico che segna il ritmo della vita per piante e animali. Non è raro quindi imbattersi in versi che rimandino ai loro colori o ai profumi di taluni periodi dell’anno. Attraverso questi termini l’autore colora il contesto dell’haiku grazie alla voce della natura che sussurra nell’orecchio del lettore una possibile interpretazione delle parole. Il kigo può essere comunicato direttamente, come nell’esempio:

“luna estiva:
sul tavolo una mela
marcisce”
(Takahama Kyoshi)

Oppure in modo indiretto, se vengono utilizzate figure, come flora o fauna, o momenti dell’anno legati a una stagione. Ad esempio, la fioritura dei ciliegi che avviene in primavera.

“Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.”
(Kobayashi Issa)

Attraverso il kigo lo haijin rappresenta il sentimento della poesia affidandolo a un dato naturalistico. Lo sbocciare dei ciliegi rappresenta speranza, lo sfiorire comunica caducità, nostalgia (il sentimento agrodolce che i giapponesi chiamano “mono no aware”).

Spesso il kigo rappresenta l'unico modello interpretativo fornito dallo haijin nel suo tentativo di superare la fisicità e comunicare attraverso le emozioni. Il critico letterario Roland Barthes ne L’impero dei segni descrisse perfettamente il meccanismo criptico degli haiku: “L’arte occidentale trasforma l’impressione in descrizione. L'haiku non descrive mai: la sua arte è anti-descrittiva, nella misura in cui ogni stadio della cosa è immediatamente, caparbiamente, vittoriosamente trasformato in una fragile essenza di apparizione".

Un altro interessante mezzo di cui si fregiano gli haiku nel loro comunicare non esplicitamente è il kireji, ovvero lo stacco. Il kireji ha lo scopo di rappresentare per il lettore un capovolgimento, un cambio d’immagine interno. È uso comune infatti, benché non sia una regola, che l’haiku giustapponga due immagini distinte, con due diversi soggetti che interagiscono. Questo stacco, che in italiano è spesso reso con un trattino, con una virgola o un punto, viene collocato tra i versi.

“Il tetto s'è bruciato –
ora
posso vedere la luna”
(Mizuta Masahide)

Nel suo invito all’essenzialità e alla contemplazione, l’haiku contiene quasi l'espressione di un desiderio. Un desiderio di autenticità, di partecipazione a una forma d’arte in cui il lettore non si limita a essere un attore passivo. È lui infatti a caricare di  significati il non detto che lo haijin ha sapientemente messo sul suo percorso. È lui che, incluso nell’atto creativo, dentro di sé può mettere un punto all’immagine e razionalizzarla. In questa forma di partecipazione, in questa magia della comunicazione artistica tra persone lontane geograficamente e culturalmente, si nasconde il segreto di questo profondissimo atomo poetico.


Credits

Cover: Record of a haiku exchange on kaishi writing paper, free image distributed by Gary Stock Bridge

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