“Ad Alessandria non c’è nulla da vedere: cosa ci andate a fare?”. Sono gli stessi egiziani spesso a dire così. E anche chi sceglie comunque di visitarla, nella maggior parte dei casi si concentra solo sulla sua età più antica. Non senza ottime ragioni: Alessandria fu la prima di molte città con questo nome fondate da Alessandro Magno, qui sepolto dopo la straordinaria avventura in Oriente; su una piccola isola del porto sorgeva il celebre faro, una delle sette meraviglie del mondo antico; ma soprattutto ad Alessandria fu costruita la più grande biblioteca dell’antichità, voluta dal sovrano Tolomeo I, il quale ordinò – senza badare a spese – che gli fosse portata una copia di ogni libro in circolazione.
Oggi quella tradizione rivive nella nuova Biblioteca del mediterraneo, costruita nel 2002, che offre il più grande spazio di lettura del mondo, con l’ambizione di raccogliere cinque milioni di libri. E l’anima letteraria di Alessandria d’Egitto è una componente fondamentale della sua storia, anche di quella più recente. In tempi più vicini a noi, la città ha infatti dato i natali a Filippo Tommaso Marinetti, Giuseppe Ungaretti e Costantino Kavafis, che pur lasciandola non l’hanno mai dimenticata.
La loro storia ci riporta alla prima metà del XIX secolo, quando l’Egitto avviò una politica di riforme per modernizzare il Paese. A quel tempo, dopo una lunga decadenza, poco restava dell’antico splendore di Alessandria, ridotta a un villaggio di pescatori. Eppure proprio allora cominciò la rinascita della città e dell’Egitto intero. Sotto Mohammed Ali (al governo dal 1805 al 1848) e gli altri pascià ottomani, ad Alessandria sorsero magnifici boulevard, ville in stile italiano, palazzi art déco, chiese di diverse religioni, teatri, locali notturni, caffè liberty, ristoranti, negozi.
La città moderna attirò numerosi stranieri, e tra loro parecchi italiani, specie al tempo della costruzione del canale di Suez (1859-69), presso il quale trovarono impiego. Molti al termine dei lavori scelsero di restare, affascinati da Alessandria e dalla sua apertura culturale.
Negli anni ’20 e ’30 del Novecento, infatti, la città era profondamente cosmopolita: l’inglese era la lingua della burocrazia, si leggevano giornali francesi, al mercato si parlava greco e molte conversazioni quotidiane erano in italiano, tanto che alcune parole sono rimaste nel dialetto locale e sono usate anche da chi ignora la loro origine: cravatta, roba vecchia, macchina, balcone, carretto…
Ancora negli anni Cinquanta gli stranieri erano un quarto dei seicentomila abitanti e convivevano felicemente con l’alta borghesia egiziana. La memoria di quel tempo è viva in piazza Saad Zaghloul, a metà della Corniche. Qui sono ambientate le vicende di Justine, femme fatale, colta aristocratica ebrea protagonista del Quartetto di Alessandria, scritto da Lawrence Durrell nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando in città convivevano “cinque razze, cinque lingue e una dozzina di religioni” (nelle parole dell’autore).
La sfilata dei palazzi novecenteschi, simbolo di quell’epoca, inizia sul lungomare e continua in via An-Nabi Daniel, che da piazza Saad Zaghloul conduce alla stazione dei treni, sfiorando l’Anfiteatro Romano. È una delle principali strade commerciali di Alessandria e lo sguardo del viaggiatore è subito attratto dalle bancarelle di libri lungo i marciapiedi. Ancora i libri, sempre i libri.
Tra le diverse arti soprattutto la letteratura si è infatti assunta il compito di raccontare Alessandria. Qui è nato nel 1976 Filippo Tommaso Marinetti e i primi sedici anni di vita trascorsi in città gli hanno lasciato un’eredità poetica di suoni, colori, suggestioni. Ancora più stretto è stato il legame con Alessandria di un altro grande poeta italiano, Giuseppe Ungaretti. Il padre, lucchese, lavorava come sterratore al Canale di Suez quando lui è nato, nel 1888. In quegli anni la famiglia viveva in una casa “in una zona in subbuglio” alla periferia di Alessandria, nel quartiere di Moharram Bey, dove la madre aveva aperto un forno.
Ungaretti restò ad Alessandria sino al 1912, quando si trasferì a Parigi per continuare i suoi studi. Ma anche dopo la partenza il ricordo della città solare ritornerà spesso nelle sue poesie, per esempio in Silenzio (1916):
Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi.
Nei caffè d’Alessandria il giovane Ungaretti conversava spesso di poesia con un interprete del ministero dei lavori pubblici, Costantino Kavafis, “per il quale non aveva segreti […] la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà, dove s’erano scontrate e s’erano fuse l’Egiziana, la Greca, la Romana”, si legge in Vita di un uomo, saggi ed interventi.
Kavafis era nato ad Alessandria d’Egitto nel 1863, nono figlio di una famiglia greca. Aveva vissuto al numero 10 di rue Lepsius, oggi ribattezzata con il suo nome, in un appartamento non lontano dal bar Pastroudis, al tempo luogo di ritrovo di numerosi intellettuali. Anche nei momenti d’insofferenza, alla sua città natale lo legavano nodi inestricabili.
Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare”.
Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti seguirà. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Andrà proprio così e Kavafis morì nel 1933 nell’ospedale greco che vedeva dal suo appartamento da bambino. La città, dimenticati gli antichi splendori, si avviava ormai alla decadenza, coltivando ricordi e nostalgie. E una delle più conosciute poesie di Kavafis racconta proprio di Alessandria abbandonata dagli dei, con le parole di Marco Antonio, che bene si prestano a concludere anche questo viaggio: “Come pronto da tempo e coraggioso, salutala, Alessandria che scompare”.
O forse quell’Alessandria vivace e multiculturale non è veramente scomparsa, si è soltanto nascosta e attende per risvegliarsi lo sguardo del viaggiatore colto e curioso.
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